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Et questo fu ch'egli stillando cercava l'archimia dell'oro, et non si accorgeva lo stolto, ch'aveva l'archimia nel far le figure; le quali con pochi imbratamenti di colori, senza spesa, traggono de le borse altrui le centinaia de gli scudi. Ma egli in questa cosa invanito, et perdutovi il cervello, sempre fu povero; e tal cosa gli fe' perdere tempo grandissimo, et odiarlo da infiniti, che più per il suo danno, che per il loro bisogno, di ciò si dolevano...
Vasari Giorgio, Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori
Opdracht
Eerste woorden
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Piove da tre giorni e altrettante notti.
Citaten
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Rivide, come in un sogno nero, il naso grifagno e gli occhi torvi dei fabbricieri della Steccata che ridevano nel vederlo in catene, loro che lo avevano incarcerato perché non ne potevano più di nascondere con enormi drappi neri l'arco e dell'abside, ancora orfano di quelle affrescatore che avevano già pagato al pittore. Era il maggio 1531 quando la Fabbriceria firmò un contratto con il pittore padano. Quattrocento scudi d'oro per concludere l'opera in diciotto mesi. E invece, trascorsi otto anni, gli affreschi erano stati solo abbozzati. Si era difeso dicendo che per completare il sott'arco e il catino absidale gli serviva una fornitura di fogli d'oro. Lo aveva scritto ai fabbricieri; l'oro era materia preziosa, d'accordo, ma necessaria al completamento della decorazione. Quell'oro gli era indispensabile per distillare la bellezza ideale e inaccessibile che aveva in mente, diversa da quella della pittura delle arti meccaniche, dovevano capirlo.
Ancora una volta la sua arte lo aveva tradito. Se un tempo era chiamato a dipingere per nobili, ricchi notabili e fabbricerie presso i quali la sua fama si era innalzata grazie a pitture lodate dal gran mondo, ora neppure i biechi signorotti del contado, mastri beccai o possidenti di stalle e porcilaie, volevano più affidargli un muro da affrescare. Da quando aveva cominciato a frequentare gli alchemici, il pennello correva per suo conto, gli storpiava figure da incubo: salamandre con la bocca spalancata, pecore squartate dal becco puntuto, galline con le corna da toro e fuochi di vulcano e ghiacciai in fiamme; immagini deformate che i suoi occhi e la sua mano d'artista non riuscivano più ad arginare, tracimate in una forma acquosa e destinate a una fuga sulla parete che si trasformava in macchia inquietante, prima di colare giù dal muro in un liquame indistinto. Le lacrime, allora, accompagnavano i suoi sguardi arrossati dai fiumi di zolfo. Occhi che vedevano quelle follie pittoriche disperdersi in un aggiornamento fresco che si sfaceva in pozzanghera sbiadita e chiazza del nulla. Gettava il pennello con gesto d'ira, si sfregava i bulbi con le nocche sperando di aver solo sognato lo sciogliersi della sua arte. Ma quando, riaprendo gli occhi paonazzi, vedeva le pareti maculate a tal modo, restava ad osservare attonito quel disfacimento, come se fosse opera di qualcun altro che si era impossessato di lui.
[…] ottenuta la materia, avrebbe potuto riprodurre in laboratorio, con ritmo accelerato, l'opera della natura per raggiungere il nigredo, l'albedo e il rubedo. Non già per la fabbricazione della Pietra filosofale o dell'Elisir al rosso come obiettivo finale della ricerca ma per ricavare diecimila foglie d'oro con cui finalmente poter mettere fine all'abside della Steccata nella grande città oltre il Po, origine dei suoi mali e della fuga che, patite le carceri, si concluse in riva al fiume. Inselvatichito, solitario e dimenticato da tutti, il pittore non aveva smesso di pensare al grande affresco incompiuto.
Squassatodella violenta febbre, capì di essere giunto al confine della sua vita. La morte, da tempo, gli era compagnia assidua, ombra collosa che rabbuiava i suoi giorni recenti. Poche albe prima dello scoccare di quel 24 agosto dell'anno del Signore 1540, aveva bussato ai frati della chiesa dei Servi chiedendo, con furia da invasato, di essere sepolto nudo. Andava gridando che la materia macerata, la putredine, non è che l'altra faccia della vita, che ogni misero alchimista lo sapeva e perciò voleva morir ignudo per tornare in vita.
Forse era stato il suo destino, essere il provvisorio guardiano di quell'effimera immagine.
Ho già superato da un pezzo - disse Gottardo al pittore - l'età in cui si desidera salire. Bisogna imparare a scendere, ormai, a perdersi. Devo guadagnare il tempo buttato via, rimettermi in pari. Ma a modo mio… E così racconto al pittore che aveva sognato di trovare, proprio sotto a un noce in riva un corso d'acqua, il punto preciso dove poter risalire il fiume e i suoi affluenti, fino alla Cisa. Aveva sognato un gorgo attorno al quale le acque, girando su se stesse come sotto la spinta di un invisibile mulino, si mescolavano per poi prendere svelte la direzione contraria di quella che la natura aveva loro concesso.
Laatste woorden
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E poi riprende a scalpellare la pietra, sollevando polvere nera che sembra cenere.