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I Quindicimila Passi: Un Resoconto

door Vitaliano Trevisan

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Una storia di ossessioni su cui aleggia lo spettro della morte, anche se a tratti non priva di una certa (volontaria?) ironia. Bella l'idea del conto dei passi, bella la struttura a blocchi e molto efficace la scrittura. Il debito con Bernhard c'è (a partire dal nome del protagonista, Thomas), in particolare nei confronti de La Fornace (1970). Forse il Trevisan più narrativo e meno autobiografico. ( )
  d.v. | May 16, 2023 |
Scrittura complessa ma affascinante! ( )
  gianoulinetti | Mar 12, 2013 |
Questo e un romanzo o meglio un racconto lungo, dalla prosa che da l'affanno con le sue proposizioni molto lunghe, e a volte di difficoltosa percorrenza, che più che letta vien voglia di ascoltarla. Ci si immagina con facilità questo lungo monologo interiore recitato a teatro con il protagonista che a grandi falcata percorre la scena. (Trevisan é anche attore e sceneggiatore e qui lo si percepisce molto bene)
I quindicimila passi. Sono più o meno sette, otto chilometri. Lo so perché anche io li ho contati, o meglio li ha contati per me un contapassi, piccolo aggeggio che si mette alla cintura e conta ogni passo che fai. (oltre a calcolare le calorie bruciate e certi anche la frequenza cardiaca). Lo si deve programmare mettendo la misura della falcata di chi lo usa, io ho messo cinquanta centimetri. Cinquanta centimetri un passo, quindicimila passi 7.5 chilometri.
Sono lo spazio che separa la casa dell'io narrante, Thomas Boschieri, da quella del notaio Strazzaboschi da cui il protagonista deve assolutamente recarsi per firmare delle carte dopo la dichiarazione di morte della sorella, scomparsa da dieci anni.
In questo spazio/tempo, Thomas cammina e conta, senza mai o quasi alzare lo sguardo dall'asfalto, pensa, riflette, considera, racconta di sé, della sua famiglia. Sono pensieri agri, acidi, pieni di rabbia soprattutto nei confronti della vita e del mondo o meglio della provincia del mondo in cui abita.
Thomas, l'io narrante é malato, affetto da un bel disturbo psicotico, da bambino il grave trauma della morte della madre e due mesi dopo del padre lo "obbliga" a adottare meccanismi psichici atti a difenderlo dalla sofferenza generata da tali eventi. Svilupperà anche un attaccamento morboso alla sorella più grande, unica ancora alla realtà ma anche fonte di costruzioni deliranti sino all'agito mortifero . Thomas ha operato una rimozione massiccia di certi vissuti e sentimenti (dolore, rabbia, paura, impotenza) e come ogni rimozione degna di tale nome genera mostri: dissociazione, sdoppiamento di personalità, idee di morte, il suicidio come via d'uscita d'emergenza, comportamenti ossessivo-compulsivi che hanno lo scopo di sedare l'angoscia,(contare i passi, le pulizie ossessive), totale mancanza di relazioni significative, isolamento e ripiegamento su di sé accentuato, progettualità congetturata ma di impossibile realizzazione e fonte di un'importante conflittualità interiore( magnifica le descrizione della preparazione della valigia "perfetta" qualora la decisione di andarsene fosse agita). L'io diviso e lacerato fra ciò che si é veramente e l'apparenza ipocrita che il vivere sociale domanda. Anche qui magistrale la disgressione sull'opera di F. Bacon, le tre facce deformi, che altro non sono per Thomas o meglio per il fratello/doppio di Thomas che la reale e autentica manifestazione esterna dell'io interiore.
Il romanzo é definito "ghost stories" nella quarta di copertina, storia di fantasmi, quelli creati dalla mente malata di Thomas é narrata e costruita bene, ma Trevisan mi pare voler andare ben oltre, e la storia di una dissociazione e suo conseguente e inevitabile agito diventa pretesto per parlare e rimandarci al nostro quotidiano vivere e agire da dissociati: quello che ci porta ad accettare di vivere in luoghi terrificanti, brutti, senza aria e senza luce, rumorosi e sporchi. Che ci fa quotidianamente (e lo sappiamo! o si! che lo sappiamo!) respirare un'aria impestata, a mangiare schifezze, e a berne delle altre . Ad ascoltare notizie raccapriccianti date dai media e continuare a mangiare la nostra pastasciutta senza batter ciglio, senza che l'anima provi un fremito. Quella che ci fa identificare con la maschera che portiamo perché il nostro vero io se si manifestasse sarebbe malato e deforme come i Tre visi dipinti da Bacon. Quella che ci fa parlare di natura senza nemmeno sapere cosa sia perché ormai la identifichiamo con gli squallidi giardinetti delle casette tutte uguali, dipinte di giallino o di azzurrino. Quella che non ci fa vedere le orrende periferie, la cementificazione di quelli che una volta erano boschi (Boschieri Thomas il protagonista, Strazzaboschi il notaio, la Magnabosca una orrenda anziana vicina, nomi casuali?) e che Thomas immagina ci siano ancora e li percorre ossessivamente contando i suoi passi, anche di notte e gira e ulula e piscia negli squallidi giardinetti e miserevoli orti malati.
Eppure noi viviamo convinti di essere sani, o "facendo finta di essere sani" di gaberiana memoria. Un bluff, perché per poter vivere o meglio sopravvivere, dobbiamo rimuovere e quindi dissociarci dal nostro vero sentire e essere. Non dare ascolto e rimuovere quei sentimenti e quelle sensazioni che ci farebbero probabilmente soffrire e star male, ma che permetterebbero forse al mondo di essere un posto migliore e magari bello per viverci. Dobbiamo dissociarci dalla consapevolezza che quello che stiamo facendo a noi stessi e al mondo é esattamente all'opposto di quello che abbiamo bisogno.
Di Trevisan molto altro ancora ho intenzione di leggere. ( )
  Pandora59 | Jan 25, 2010 |
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Motto
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Ma l'epoca che genera questo modo
di vedere, il modo di vedere dell'individuo
isolato, è proprio l'epoca dei rapporti sociali
finora più sviluppati.

KARL MARX, Grundrisse.
Opdracht
Eerste woorden
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In tutti questi anni, nel corso di tutti gli spostamenti da me effettuati, da casa al tabaccaio (791p), da casa al municipio (930p), da casa al negozio di generi alimentari (1851p) eccetera, il computo del numero dei passi, sempre scrupolosamente contati e successivamente annotati in un apposito taccuino che ho sempre con me, durante il viaggio di andata poi durante il viaggio di ritorno, non è mai tornato.
Ora non devo fare altro che aspettare mio fratello, il quale, come so, potrebbe arrivare da un momento all'altro e, nel frattempo, proseguire nella stesura della bibliografia relativa a questi Quindicimila passi, bibliografia che, dopo l'ultima rilettura, che credevo definitiva, si è resa altresì necessaria e imprescindibile e senza la quale questo resoconto, come ora mi è chiaro, risulterebbe sconnesso e fatalmente incompleto.

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