Leggo la rivoluzione liberale per la seconda volta. La prima volta che la lessi avevo l’ottica, o meglio l’ingenuità, di quello che vuole cambiare,di quello che intendeva partecipare alla rivoluzione che avrebbe cambiato questo Paese; leggevo per dotarmi degli strumenti intellettuali per essere pronto. Mancano ormai pochi giorni all’inizio del processo e rileggo Gobetti. Lo spirito è del tutto diverso, giuro, si tratta di una lettura che non guarda più avanti, ma solo indietro, un bilancio personale almeno riguardo al pensiero. Quello che non cambia, e come potrebbe, è il giudizio personale sul saggio di Paolo Flores D’Arcais, intellettuale con la forca in mano, il problema è che i due termini sono davvero incompatibili. L’introduzione dice l’opposto di quello che poi dirà Gobetti, sono due pensieri a confronto, anzi a scontro. Gobetti era giovanissimo ed a circa vent’anni è riuscito a diventare un icona del socialismo liberale. Da un lato l’attenzione sulla libertà degli individui; e dall’altro la centralità dello Stato come premessa essenziale. La rivoluzione liberale si dipana attraverso l’analisi delle ideologie dei partiti italiani che da lì a poco,siamo nel 1923, sarebbero collassati aprendo la strada al ventennio. Le analogie con oggi sono incredibili, il sistema partitico in coma, la burocrazia uguale a se stessa che spinge il Paese indietro e poi i moralisti che imperversano con la loro nullità. Forse D’arcais l‘avrebbe dovuto leggere il testo, prima di scrivere il saggio sulla rivoluzione liberale. O, forse, qualcuno gliel’avrebbe dovuto spiegare. ( )