Le fiabe di Andersen sono tante e spaziano dal buffo al commovente, ma tutte hanno in comune una vena di poesia che affascina grandi e piccini: sin dalle prime righe sembra di entrare in un mondo incantato, ed è questo che si richiede ad una fiaba in fondo.
Naturalmente in una produzione così sconfinata è ovvio che ce ne siano di meno riuscite: alcune sono dei semplici divertissement, altre sono un po' troppo paternalistiche, ma anche nelle più banali c'è quel tocco magico che è l'impronta inconfondibile dell'autore. Certe poi sono dei piccoli capolavori: penso alla straziante "La bambina dei fiammiferi" o all'elaborata "La regina delle nevi"(quasi un romanzo in miniatura), ma soprattutto penso a "La sirenetta", struggente e di grande atmosfera.
Attenzione però a non accostarsi ad Andersen pensandolo "facile" e giocoso: nelle sue fiabe il lieto fine non è mai scontato, i protagonisti soffrono e non è detto che siano ricompensati e non ha remore nel mostrare anche gli aspetti più crudi della vita: questo perchè ci sono vari livelli di lettura, non sono pensate per un pubblico esclusivamente di bambini.
Leggere Andersen è sempre un'esperienza memorabile, e nonostante la morale un po' anacronistica e decisamente troppo religiosa per i miei gusti le sue opere riescono sempre a farmi sognare. ( )

L'imponente corpus narrativo di Andersen è senza dubbio il più originale, affascinante e vibrante nel genere fiabesco. Composte e pubblicate in danese fra il 1835 e il 1874, esse sono frutto della fantasia originale dell’autore, e solo in minima parte dalla cultura popolare.
Andersen ha sì ripercorso e reinterpretato la grande tradizione favolistica nordica ed anche europea, ma il suo spirito romantico lo ha spinto a guardare alla fiaba da una diversa prospettiva: le fate e le streghe, gli gnomi e i giganti non sono più solo creature prodigiose o dai poteri magici, ma diventano umanizzati. Anche animali e cose diventano pensanti, parlanti, dotati di vita e di sentimenti, formando un grandissimo coro di voci a volte liete, ma soprattutto sconsolate, afflitte dalla consapevolezza di non avere in realtà un posto nel mondo. ( )