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Alwyn Scarth was Lecturer in Geography at the University of Dundee. (Bowker Author Biography)

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Biografia di un vulcano. Si può scrivere la biografia di un vulcano? Di un vulcano come il Vesuvio? Sembra di sì. L'ha scritta uno studioso ed esperto di origine inglese, già accademico dell'università di Dundee. Ovviamente il nostro Vesuvio è un vulcano che non ha bisogno di essere conosciuto nè tanto meno biografato. Nel corso di questi ultimi due millenni non si contano gli studi e gli studiosi che si sono sono occupati di lui. Così come non si contano i risvegli improvvisi e catastrofici che lo stesso "Vesevo" ha avuto.

Questo blogger vive a relativamente poca distanza da esso. Una ventina di km in linea d’aria, non tanti comunque da sentirsi al sicuro. I monti tutt’intorno, infatti, sono ricoperti da antichi residui vulcanici portati dalle correnti durante le varie eruzioni. Ogni mattina, quando mi sveglio, la prima cosa che faccio è dare uno sguardo a quella montagna che si staglia in lontananza. Anzi, le sagome delle montagne sono due, una di fianco all’altra: Monte Somma e il Vesuvio, così come si vedono dalle sue spalle, dalla Valle del fiume Sarno. Un’area geografica molto estesa della Campania, a metà strada tra Napoli e Salerno, i cui comuni ricadono tutti nella provincia di Salerno, per una superficie complessiva di 158.1 Kmq e oltre 285mila abitanti, con una densità di popolazione pari a 1807 abitanti per Kmq.

L’area è geograficamente racchiusa a nord-est dai monti Picentini, che la separano dalla provincia di Avellino; a nord-ovest confina, invece, con l’agro nolano (provincia di Napoli) e a ovest con la piana del Vesuvio (sempre provincia di Napoli). A sud ne è confine la barriera naturale dei monti Lattari. Fanno parte dell’agro nocerino sarnese i comuni di Scafati, Sarno, Siano, San Valentino Torio, San Marzano sul Sarno, Sant’Egidio del Monte Albino, Roccapiemonte, Pagani, Nocera Inferiore, Nocera Superiore, Corbara, Castel San Giorgio ed Angri. Poco meno di mezzo milione di persone vivono in questa area che è una delle più densamente popolate d’Europa. La Valle è a destra, come si può vedere dalla immagine che correda questo post. Dall’altra parte si stende l’area napoletana. Al centro di questo antico e straordinario territorio, il Vesuvio si erge con il suo cratere a forma di occhio sempre aperto.

Alwyn Scarth ha scritto questa biografia che risulta essere un vero e proprio libro di testo per la sua ricca cronologia degli eventi eruttivi tutti ricavati da resoconti storici. La sua ricerca è in gran parte dedicata all’eruzione del 1631 che ebbe luogo dopo un periodo di “sonno” piuttosto lungo del vulcano. A metà dicembre di quella fine d’anno tutto ebbe inizio con una serie di lave piroclastiche, come fu anche il caso con Pompei. Reazioni vulcaniche quanto mai pericolose con eruzioni spettacolari di gas bollenti, nubi tossiche e getti altissimi in sospensione portati dai venti a grande distanza, a seconda della direzione dei venti. Cenere, lapilli, sabbia in superficie viaggianti per tutta la valle, mentre a livello del terreno fiumi di lava avanzavano distruggendo ogni cosa lungo il percorso.

Questa eruzione, secondo l’autore, sembra quasi fare da scenario e da sfondo a quello che fu il movimento della Controriforma. Gli abitanti dei luoghi, in special modo i Napoletani, nel tentativo di salvarsi e di esorcizzare gli effetti letali delle eruzioni, si diedero a pratiche rituali religiose contro il cataclisma che li colpiva a causa dei loro peccati. Le reliquie di tutti i santi, ed in particolare quelle di San Gennaro, protettore della città, vennero portate dappertutto nella speranza di placare l’ira vulcanica. Migliaia di penitenti scalzi seguivano le reliquie e tutti trovarono il modo di pentirsi dei peccati alla luce della punizione divina. Ben poco si fece per salvare ed aiutare le vittime o i superstiti. Migliaia furono i morti oltre alla devastazione dei beni e del bestiame.

A distanza di poco più di un secolo, nel 1760, il Vesuvio si risveglia, e fu ancora una volta un inglese ad occuparsene con grande scrupolosa attenzione. E’ il rappresentante di sua Maestà Britannica alla corte di Napoli Sir William Hamilton il quale, dalla sua villa a Portici, proprio ai piedi del Vulcano, ha la possibilità di osservare il mostro. Lo scala numerose volte e lo studia per circa quaranta anni. Scrive accurati rapporti alla Royal Society di Londra, fa da cicerone ai suoi visitatori, fa conoscere al mondo il fascino di quel misterioso vulcano che conquista le menti romantiche di scrittori e poeti di mezza Europa. Famosa la sua descrizione che porta la data ottobre 1767. Nel diciannovesimo secolo l’approccio al vulcano cambia con l’introduzione delle scienze della terra. Alexander von Humboldt e Charles Lyell sono soltanto due dei nomi che contano negli studi del settore. A metà del secolo si crea un Osservatorio appositamente istituito per lo studio del Vesuvio con strumenti di alta precisione in grado di avvertire la bensì minima scossa proveniente dal ventre profondo di Vesevo.

A distanza di 150 anni dalla sua fondazione, scrive Scarth, ci si aspetterebbe che al minimo avvertimento dato dalle sofisticate strumentazioni di questo moderno Osservatorio facesse seguito anche una sicura e sollecita evacuazione della popolazione eventualmente interessata ai pericoli dell’eruzione. Ahimè non è così. In soltanto un paio di settimane di possibile preavviso di una imminente eruzione, niente di concreto e di sicuro è stato previsto in termini di evacuazione e sicurezza. Il vulcano dorme dal 1944 e se si sveglierà, con una potenza simile a quella del 1631, non si sa esattamente cosa accadrà. La domanda più ricorrente è: quando? Nessun scienziato e nessuna strumentazione può dirlo. E per questa ragione la gente, i milioni di persone che hanno deciso di continuare a vivere e lavorare tutto intorno al vulcano sono persone che da un punto di vista antropologico sono davvero speciali.

Il libro di Scarth oltre ad essere un ottimo documento storico e scientifico è anche uno studio importante sulla realtà di una regione, quell’antica Campania, ricca e fertile popolata da genti e popoli speciali. Genti e popoli sui quali in un certo qual modo l’iperattivismo del vulcano ha influito decisamente sui loro destini. Questa regione, con quella straordinaria città che è Napoli, da oltre tremila anni, vive in maniera “vulcanica” la sua esistenza terrena avendo assorbito tutto il furore, la passione, il calore, l’irruenza e l’incongruenza, il furore e la passione, la violenza e la libertà delle qualità antropomorfiche del vulcano stesso.

Il Vesuvio è stato come un cortigiano pericoloso, capriccioso e viziato il quale durante le eruzioni e le distruzioni ha mandato all’altro mondo migliaia e migliaia di persone senza un perchè, una ragione o spiegazione. Ha seminato morte e distruzione ma ha anche permesso la formazione di una terra quanto mai ricca, fertile, nobile, sia nella natura che nello spirito degli uomini e delle cose. La “Campania Felix” ha visto alternarsi “età dell’oro” e periodi di grande decadenza e confusione. Non ultimo, ad esempio, la grande crisi di una città ed un territorio prigioniero della sua stessa “spazzatura”. Scorie umane e morali di un tessuto sociale in continuo conflitto con se stesso e con il mondo. Questo libro costituisce un’ottima fotografia della nostra realtà politica, morale, sociale, storica e geografica vista con gli occhi e la mente di uno straniero.
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AntonioGallo | Nov 2, 2017 |
I was fully prepared to like La Catastrophe: The Eruption of Mount Pelée, the Worst Volcanic Disaster of the 20th Century by Alwyn Scarth and I did: just not as much as I hoped. Scarth is a Professor of Geography in Scotland has written several books about volcanoes and volcanic eruptions. In La Catastrophe he looks at the French colony of Martinique immediately before during and after deadly eruption of 1902. Scarth does a nice job discussing the social / racial divide on the island, particular as it pertained to the eruption and its aftermath. Scarth also makes very clear how, at the time, very little was known of the mechanics volcanoes; anyone on Martinique making predictions about the eruption was indulging in ill-informed guesswork. Certainly, the powers that be on the island had no reason to think that the city of Saint-Pierre and 26,000 people would be wiped out in a matter of minutes by a pyroclastic flow on May 8th.

Scarth does a particularly fine job explaining the development of the eruption and the warning signs that no one understood. Unfortunately, much of this information is presented in sidebars. Initially, I like the use of sidebars, but came to find them annoying as they disrupted the flow of the narrative. Much of the information they included could have been integrated into the main text.

Also, Scarth, for undisclosed reasons, chooses to use the French term nuée ardente (incandescent or glowing cloud) in place of the more common pyroclastic flow. Granted, he may have decided to use the French phrase while discussing the Mount Pelée eruption of 1902 because it was the term popularized after the disaster; the preferred modern term pyroclastic flow came into usage later. What I fail to understand, however, is why a professor who works in Great Britain and is writing for the Oxford University Press in English, never once uses the term pyroclastic flow nor explains that it and nuée ardente are one and the same. Why potentially confuse the reader?

In addition, Scarth points out that his conclusions about the actions of the local government throughout the eruption counter those of others who have written on the topic. Certainly, his conclusions seem reasonable, but the lack of footnotes, endnotes or parenthetical citations makes it difficult for the reader to make his or her own evaluation of his sources. There is a bibliography, but it is difficult to connect fact to source.

La Catastrophe is a good, if flawed, overview of the deadliest volcanic disaster of the 20th century.
… (meer)
 
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Dejah_Thoris | Jun 11, 2011 |

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