“Unica salus victis, nullam fortunam sperare”, l’urlo di Virgilio per celebrare le sorti dei vinti. E così fu per gli italiani giuliani, istriani e dalmati al termine della seconda guerra mondiale, scannati come bestie ed infoibiati dai comunisti di Tito. Una parte, una piccola parte, fuggì per un esodo, da cui il titolo del bel libro di Petacco, verso l’Italia, la loro patria; patria fredda, vigevano gli ordini del partito comunista di Palmiro Togliatti, e poi mi dicono che io a questi, che oggi ne parlano come di un fondatore della patria, faccio male a sputargli, ma andate a fare in culo, patria ingrata, come si faceva a fuggire dal paradiso comunista. Tutti borghesi, urlava l’Unità, poveri cristi, documentava Montanelli. E tra piccoli episodi, come quello della patriota Maria Pasquinelli, che assassinò il generale De Winton, simbolo dell’alleanza atlantica che aveva ceduto parte dell’Italia all’orda slava. Come il sussulto di orgoglio del primo ministro Pella che attaccò duramente le folli richieste di Togliatti di avallare le assurde pretese di Tito di cedere Gorizia per avere Trieste, ambedue città italiane. Un libro importante, anche perché la prima edizione è del 1999, quando ancora la vicenda dell’eccidio slavo era coperto dai silenzi comunisti. Intanto mi vado a rivedere Magazzino 18, pronto a sputare al prossimo che mi parla dei grandi ideali di Togliatti e dintorni. ( )

Arrigo Petacco racconta la storia di un lembo contesto della nostra patria, in cui la presenza di diverse etnie ha favorito odiose manifestazioni nazionalistiche, quasi sempre alimentate dall'ideologia vincente. Fu il fascismo con la sua ottusa violenza a fornire il pretesto per la barbara e smisurate reazione slava. ( )

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