Un monologo debordante che ossequia Celine, un'ossessione carnale che diventa immediatamente patologica, un alto-basso linguistico in cui perdersi. Mi sto convincendo che forse sarebbe meglio non leggere due libri di fila di uno stesso autore sull'onda di un primo confronto affascinante, ma tant'è, così son fatte le infatuazioni. Il tour de force è pregevole, ma il libro si incaglia nella sua ripetitività e lunghezza (magari, fosse stato un po' più breve...), dunque l'esercizio di stile suona un po' fine a se stesso. Ma tornerò a Mari, a tempo debito. ( )

Da una trama scarna, imperniata su pochi fatti in sostanza ordinari e circoscritti in un arco di tempo relativamente breve, prende impulso un intreccio delirante, incontenibile e contorto, prodotto dalla folle caduta libera di una mente sconvolta dalla gelosia. Quella del protagonista è una gelosia retrospettiva, maniacale, lacerante e sanguinaria, che avvelena una relazione amorosa appassionata, corrisposta, e distrugge le sue certezze ed il suo equilibrio interiore.
Più che di un romanzo, si tratta di un ininterrotto monologo monotematico di stampo celiniano – ossia esagitato, quasi gridato, e intercalato da un flusso infinito di esclamativi e punti di sospensione – teso a scandagliare in modo puntiglioso avvenimenti, intenzioni e conseguenze; a ribadire ossessivamente dubbi, insulti e recriminazioni; ad affermare un fanatismo possessivo nei confronti della donna e, riferito a se stesso, un orgoglio meritocratico che non ammette competizioni e non si assoggetta al freno dalla razionalità.
Il registro stilistico è quanto di più vario si possa immaginare: dall’aulico al quotidiano, al comico e scurrile; dalla disquisizione dottissima infarcita di latinismi e citazioni, si passa all’improvviso all’invettiva più rozza e volgare. Il tutto in un alternarsi di toni eccessivi e barocchi, fitti di iperboli, dolorosa autoironia, spietato sarcasmo e cupa disperazione.
Strabiliante anche la versatilità linguistica, che alterna eleganti arcaismi, termini colti, espressioni quotidiane o dialettali, turpiloquio, neologismi e parole inventate…
Soltanto un genio letterario è in grado di utilizzare in modo tanto acrobatico lo strumento della scrittura, e Michele Mari un genio letterario lo è. ( )