Siamo in balia della "catastrofilia" dell’informazione. A dire il vero, molte delle buone notizie qui rilanciate sono state spigolate dagli autori nella stampa stessa. Il problema è che il circo mediatico suona ora una grancassa ora l’altra, neutralizzando in tal modo i dati, le news, le analisi che vadano in direzione diversa dal mainstream del momento. La cattiva moneta caccia la buona. Non è vero che tutto va peggio non sostiene che viviamo in un paradiso, ma spronandoci a gettare sulla realtà uno sguardo di ampiezza “storica” ci fa riscoprire quello che, almeno in qualche casi, dovevamo sapere già: che in meno di cinquant’anni l’istruzione ha fatto passi da gigante in Italia – ma anche nel mondo, e soprattutto quella femminile. Che la speranza di vita si è allungata dappertutto. Che le guerre sono di meno e il numero delle vittime è diminuito. Che la pena di morte è in corso di espulsione. Che l’inquinamento pochi decenni fa era più elevato. Che, perfino, non è già più vero che i ghiacci artici si stiano sciogliendo («la banchisa è ritornata in pochi mesi allo stesso livello di 30 anni fa»). Sono affermazioni che potrebbero dare fastidio a chi abbia decretato che il mondo, governato com’è, va a rotoli. E che teme che rivelare notizie ottimistiche smobiliti le coscienze dall’impegno ambientalistico, anticonsumistico, antimilitaristico. Per gli autori è esattamente il contrario: è l’insistenza sul negativo che induce a tirare i remi in barca (“ho fatto ho fatto e non ho visto niente”). La depressione non è mai una buona molla per organizzare il futuro. Dire che le cose non vanno peggio significa... yes, we can. Anche perché il libro si premura di sottolineare come i progressi veri, quelli “umani”, vengano dalla base, dal metodo nonviolento: per questo sono lenti, certamente, ma al contempo duraturi.… (meer)
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Non è vero che tutto va peggio non sostiene che viviamo in un paradiso, ma spronandoci a gettare sulla realtà uno sguardo di ampiezza “storica” ci fa riscoprire quello che, almeno in qualche casi, dovevamo sapere già: che in meno di cinquant’anni l’istruzione ha fatto passi da gigante in Italia – ma anche nel mondo, e soprattutto quella femminile. Che la speranza di vita si è allungata dappertutto. Che le guerre sono di meno e il numero delle vittime è diminuito. Che la pena di morte è in corso di espulsione. Che l’inquinamento pochi decenni fa era più elevato. Che, perfino, non è già più vero che i ghiacci artici si stiano sciogliendo («la banchisa è ritornata in pochi mesi allo stesso livello di 30 anni fa»).
Sono affermazioni che potrebbero dare fastidio a chi abbia decretato che il mondo, governato com’è, va a rotoli. E che teme che rivelare notizie ottimistiche smobiliti le coscienze dall’impegno ambientalistico, anticonsumistico, antimilitaristico. Per gli autori è esattamente il contrario: è l’insistenza sul negativo che induce a tirare i remi in barca (“ho fatto ho fatto e non ho visto niente”). La depressione non è mai una buona molla per organizzare il futuro. Dire che le cose non vanno peggio significa... yes, we can. Anche perché il libro si premura di sottolineare come i progressi veri, quelli “umani”, vengano dalla base, dal metodo nonviolento: per questo sono lenti, certamente, ma al contempo duraturi.… (meer)