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Giuseppe Lupo

Auteur van La carovana Zanardelli

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La lettura di un libro è sempre una esperienza personale di ricerca, scoperta e conoscenza. Il libro di cui intendo parlare ha per titolo la didascalia che appare sotto l’immagine che correda questo post.
In poco più di un centinaio di pagine Giuseppe Lupo, un giovane scrittore che non conoscevo, tra i tanti stimoli ricevuti, mi ha dato la possibilità di aprire diverse “finestre di lettura”, per così dire, facendomi rivisitare non solo il mio recente/lontano passato e quello di tanti della mia generazione, ma anche di leggere quella realtà in maniera davvero straordinaria.

Nella edizione domenicale de “Il Sole 24 Ore” ho visto questa foto a corredo di un suo articolo che parlava del suo libro distribuito dal giornale. Il libro non è nuovo, è uscito qualche anno fa per Marsilio.

Il giornale ha colto l’occasione dell’attualità dei problemi del presente per favorire in maniera opportuna il rilancio del nostro Paese dopo i gravi problemi che ha causato la recente pandemia.
La lettura dell’articolo che segue, scritto da Lupo e che riporto in maniera integrale, confermerà in chi legge questa mia impressione. Nell’articolo sopratutto mi ha colpito l’analisi quanto mai approfondita che l’autore fa di questa immagine.

Non vi rivelo il modo che lui usa per far entrare il lettore del libro nella vicenda di quegli anni in cui il racconto prende l’avvio. Vi dirò soltanto che la narrazione sta tutta nella mente di quella bambina tra le braccia di suo madre, dietro suo marito alla guida della Vespa, in una piazza del centro di Milano, agli inizi degli anni sessanta.

Quando avrò ultimato la lettura del libro ci sarà modo di parlarne ancora. Quegli anni per molti anni “ruggenti”, per chi scrive furono tutt’altro. Tanto per cominciare, dirò che la Vespa non l’ho mai avuta e nemmeno una bicicletta. Ecco un’altra delle tante “finestre narrative” che ha aperto nella mia mente di “dinosauro” la lettura di questo libro. Per ora leggete quello che scrive Giuseppe Lupo. Lui nasce nel 1963 mentre io ero a lavorare in un manicomio inglese mentre in Italia sembrava esserci quello che lui chiama “incanto”. Ben altre immagini appaiono nella mia mente. Ma Lupo è davvero bravo a “leggere”quella realtà e in particolare far rivivere questa ed altre immagini con il suo racconto.

“Quando la fotografia di copertina di un libro prende vita: il nipote di una coppia scelta per simboleggiare la Milano degli anni del boom economico ha contattato l’autore che ci racconta la storia.
Un paio di settimane fa ricevo un messaggio da un contatto sconosciuto. Mi parla della fotografia finita sulla copertina di un mio libro, Gli anni del nostro incanto: marito, moglie e figli a bordo di una vespa, una famiglia in bianco e nero nella Milano degli anni Sessanta, città simbolo del benessere economico, con le guglie del Duomo in lontananza e Piazza Fontana sullo sfondo, non ancora diventata tristemente famosa.
La voce mi dice che sono i suoi nonni, suo padre è il bimbo in piedi tra le gambe del capofamiglia, all’epoca ha quattro anni e l’altro, quello tra le braccia della donna seduta dietro, è lo zio, di appena sette mesi. Io resto sorpreso: sarà vero?
La foto l’avevo trovata per caso sul Corriere della Sera e mi aveva subito colpito: da dove veniva e dove stava andando quella vespa nella centralissima Via Larga? Senza dubbio già solo il colpo d’occhio attribuiva fascino allo scatto: la gradazione dei colori grigi, i palazzi, l’incrocio di destini che nasceva dalle quattro figure al centro della scena, perfettamente simmetriche nel confronto generazionale tra adulti e bambini. Non conoscevo nulla di loro, ma certo essi riassumevano l’Italia di Carosello, dei frigoriferi, dei televisori, delle automobili Fiat.
A guardarla bene, però, la foto dichiarava altri elementi della loro ipotetica storia. Per esempio, mi incuriosiva il cellophane sul sellino, un particolare oggi insignificante, ma che all’epoca poteva essere indizio di una condizione economica: quella famiglia, mi dicevo, avrà affrontato tali e tanti sacrifici da voler preservare il veicolo dall’usura, in quell’Italia gli oggetti dovevano durare nel tempo.
C’era un altro aspetto ad attrarmi: il piede mancino del capofamiglia mi suggeriva una persona audace, baldanzosa. Io ci trovavo una rassomiglianza con il gomito fuori dal finestrino che esibiva il personaggio interpretato da Vittorio Gassman nel film Il sorpasso: era una spavalderia. Da quel piede venne l’dea che egli fosse figlio di un calzolaio meridionale e che in virtù del suo carattere renitente alle regole fosse approdato nella capitale morale del Paese per una sorta di ribellione alla immobile civiltà dei padri. Più stavo a guardare, più il mio ragionare sulla foto assumeva le forme di un’indagine dentro la sostanza di una stagione democraticamente felice, gli anni del boom, di cui la famiglia era una specie di icona.
Che mestiere, mi domandavo, poteva esercitare un emigrato a Milano dalla Bassitalia? All’epoca si chiamava così. In base alle statistiche gli avrei potuto ritagliare un impiego da operaio in una fabbrica alla periferia di Lambrate. Ma la foto mi svelava ancora altro di inedito. La distanza tra ginocchio e caviglia della donna, in confronto a quella del marito, dichiarava l’appartenenza geografica: lei era più alta dell’uomo che aveva sposato, la sua origine era di sicuro in Piemonte o in Lombardia o in Veneto.
Mi occorreva interrogare di nuovo le statistiche: nulla di più facile che un meridionale, com’era nella maggior parte dei matrimoni misti celebrati in quegli anni, prendesse in moglie una veneta. Ed è così che per loro due ho immaginato un incontro casuale in una balera lungo il Naviglio, mentre un’orchestrina attaccava Laggiù nell’Arizona. Restava un ultimo enigma da risolvere per dare corpo e anima alla donna che sedeva con composta eleganza sulla vespa. Non era certo la velocità e nemmeno il vento a muovere alcune ciocche di capelli. Forse, congetturavo tra me, il mattino in cui fu scattata la foto poteva essere domenica, indossano abiti piuttosto eleganti, nel portapacchi della vespa c’è finanche un mazzo di fiori, dunque stanno andando a festeggiare un anniversario. Un ultimo sguardo alla foto: capelli, abiti, fiori. Solo una parrucchiera sceglie un’acconciatura ambiziosa come il toupet, purtroppo si pettina in fretta, visto il ritardo, perciò i capelli sfuggono alle forcine.
Eccoli qua, Luigi detto Louis e Regina, la coppia dell’Italia industriale, avviarsi insieme verso un futuro di luci, in quella vita milanese che un aggettivo del dialetto lombardo mi spingeva a definire sbarluscenta. Così dunque è stato l’avvio di una storia finta ricavata da un’immagine vera. Naturalmente mentirei se dicessi che dal giorno in cui il libro ha cominciato a circolare nelle librerie, nell’autunno del 2017, io non abbia sperato di incontrare i miei personaggi in carne e ossa. Ogni volta, durante le presentazioni, sbirciavo tra i presenti: non è che all’improvviso spunta fuori qualcuno di loro?
Poi mi arriva il messaggio dal contatto sconosciuto. Ci siamo trovati finalmente, mi sono detto, e il primo pensiero è stato di chiedere conferma: da dove venivano i nonni quel giorno, dove andavano, dove abitavano, in cosa differiva la loro storia reale da quella ipotizzata da me. In qualcosa mi ero sbagliato, in altri aspetti no.
L’invenzione narrativa veniva sospinta verso la radice più autentica, che è l’esistenza concreta delle quattro persone diventate per causa mia personaggi di un libro, ciascuna con la propria sostanza interiore, ciascuna con un suo destino da percorrere fino all’ultimo capitolo. Il romanzo, che era nato dalla concretezza di una foto per capovolgersi in una trama di verosomiglianze, invertiva adesso la sua rotta per tornare alla natura originaria, che è la vita e di cui la foto rappresenta soltanto un emblema. Credo avesse ragione William Faulkner quando affermava che tutto comincia “con un personaggio e, una volta che si alza in piedi e inizia a muoversi, non resta altro da fare che andargli dietro con carta e penna, cercando di tenere il suo passo per annotare quel che dice e che fa”. È stato esattamente questo il mio esercizio. Inseguendo la vespa con carta e penna, ho cucito una storia sulle spalle di chi ci stava a bordo." (Giuseppe Lupo - Il Sole 24 Ore)
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A lettura conclusa del libro devo ammettere che sono rimasto un pò deluso. Mi aspettavo di più e anche una narrazione del tempo vissuto diversa. La colpa credo sia soltanto mia. Sono stato sviato dalla presentazione del libro tutta centrata su quella fotografia ...
… (meer)
 
Gemarkeerd
AntonioGallo | 1 andere bespreking | Sep 24, 2020 |
"Tu mi comprendi se dico che il tempo di cui ti parlo, il tempo della nostra vita anteriore, vale solo se lo ricordiamo?"

un buon libro
 
Gemarkeerd
ShanaPat | 1 andere bespreking | Jun 29, 2020 |

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