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Michele Pantaleone

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Premio Brancati (1969)

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Michele Pantaleone, villalbese, è uno scrittore abbastanza conosciuto in tutto il mondo per le sue opere sulla vecchia mafia. E’ uno storico della mafia dal dopoguerra in poi. In Mafia e politica del 1962 traccia, in un filo storico conduttore, la storia della mafia, e delle sue cause dall’origine dei feudi, dal periodo post Unità d’Italia , al periodo fascista, dal dopoguerra fino agli episodi dell’esportazione delle arance "gravide" di eroina.
Nella narrazione ha il coraggio di mettere in evidenza episodi di connivenza fra mafia e politica dei tempi.

Era il 16 settembre 1944 quando a Villalba (Caltanissetta) si scatenò il terrorismo mafioso. Numerosi colpi di pistola vennero esplosi contro il segretario regionale del Pci, Girolamo Li Causi, mentre teneva un comizio nonostante il divieto impostogli dalla mafia. Venne ferito ad una gamba.. Vennero lanciate anche alcune bombe a mano contro la folla, causando 14 feriti. I carabinieri di Villalba, chiusi nella loro caserma, non intervennero. Tra gli aggressori il sindaco Calò Vizzini e suo nipote che lanciò una bomba a mano sul palco. Così ricordò gli avvenimenti Carlo Levi

" Questa era la città natale, il regno di Calogero Vizzini, don Calò, che per tanti anni, e fino alla sua morte, fu considerato la figura piu rilevante, il capo effettivo della mafia siciliana, che aveva cosi, giustamente, per motivi geografici e storici e sociali, in un villaggio di feudo, la sua capitale. Nel mezzo di quell'agglomerato, nel centro di quelle tredici strade o sentieri ruinosi, unico luogo piano in quel pendio di miseria, cuore e centro di un potere grandissimo, che ama celarsi in luoghi piccoli e oscuri, è la piazza. È veramente una piazzetta, poco piu di uno slargo piano in mezzo a quelle pendici: avrà forse poco piu di una trentina di metri di lunghezza per una quindicina di larghezza. Ma vi è tutto, assolutamente tutto quello che fa l'antica società siciliana, tutto raccolto in quei pochi metri, in quelle poche case, in quelle poche persone. È un rettangolo pianeggiante, ma, poiché è posto di traverso sulla costa scoscesa, le case a valle sorgono piu in basso di quelle a monte, e sono divise dalla piazza da una specie di trincea scavata che, con degli scalini, raggiunge il lastricato del passeggio. È la piazza Madrice, cosi detta perché vi sorge la chiesa madre. La chiesa occupa il lato di fondo del rettangolo, e davanti ad essa scende quella che si chiamava la via Grande, ed ora è detta via Libertà. Il lato opposto della piazza, quello da cui vi si entra per una delle strade trasversali, la migliore, la centrale, detta corso Caltanissetta, è occupata simmetricamente, ai due lati, da due bar, con qualche sedia davanti alla porta. Il lato maggiore, a monte della piazza, è' costituito da due case, in faccia alle quali altre due case chiudono il lato a valle: fra di esse scende la via centrale, che si chiamava via del Carcere, e ora si chiama via Vittorio Veneto. Tutte queste case sono formate da un piano terreno, da un primo piano e da una terrazza. Nel lato a monte, quella verso la chiesa è la sede della Democrazia Cristiana, nella sua parte che si affaccia alla piazza: dietro di essa, nella parte che dà sulla trasversale via Crispi, è la casa di don Calò. Sullo stesso lato, la casa verso corso Caltanissetta è la sede del Banco di Sicilia. Poco piu lontano, fuori della piazza, è la caserma dei carabinieri. Tutti i poteri mondani sono dunque affacciati su questi tre lati: la politica, l'economia, la vita sociale, la chiesa e la mafia. Le case del lato a valle, separate dalla piazza dalla trincea, vi si affacciano come un potere opposto: come la sede dell'opposizione: sono le case delle famiglie Pantaleone. Questa piazza è dunque come il palcoscenico di un teatro di tragedia dove dall'alba alla notte si mostrano i protagonisti: il popolo, i re, i tiranni, gli uccisori e il coro, i servi e gli dèi, e tutte le possibili vicende vi si consu- mano nei passi e nei gesti e nei simboli della vita quotidiana. Ma talvolta scoppiano come improvvise tempeste: momenti decisivi della storia piu vera. Fu qui che il 16 settembre 1944 avvenne la famosa strage di Villalba, che segnò un momento così importante all'inizio del movimento contadino per la terra e la libertà. Nessuno aveva ancora potuto mettere piede su questa piazza interdetta: cuore del potere della mafia. Quel giorno, posto un tavolino davanti alla casa del Banco di Sicilia, tre uomini erano venuti, accompagnati da un piccolo gruppo di minatori di Caltanissetta, a parlare. Erano Gino Cardamone, Michele Pantaleone e Girolamo Li Causi. Don Calò aveva acconsentito a che parlassero, purché non toccassero gli argomenti della terra, del feudo e della mafia, purché, soprattutto, nessuno dei contadini venisse in piazza ad ascoltarli. La piazza era occupata dai mafiosi, appoggiati in gruppi ai muri, o riuniti, con il nipote di don Calò, davanti alla casa della Democrazia Cristiana. Don Calò stava in mezzo alla piazza, con un bastone in mano; i contadini restavano fuori, lontani, nelle loro strade, dietro le finestre o sulle porte. Il professor Cardamone fu il primo a parlare, e parlò d'altro, parlò delle repubbliche democratiche marinare del Medio Evo. Don Calò si compiacque di ascoltarlo. Lo seguì Michele Pantaleone di Villalba. La sua presenza, in faccia al vecchio capo della mafia, era già di per sé, in qualche modo, un insulto. Michele Pantaleone polemizzò coi separatisti: pochi giorni prima, il 2 settembre, era venuto a Villalba il capo dei separatisti, Finocchiaro Aprile, che, dopo aver distribuito ai giovani i distintivi con la quarantanovesima stella americana, aveva, in questa stessa piazza, tenuto un discorso. Pantaleone, che aveva scritto un articolo e una lettera aperta a Salvatore Aldisio su questi argomenti, entrò dunque nel vivo della questione, richiamandosi all'azione delle masse contadine, mentre presentava il principale oratore: Girolamo Li Causi. Li Causi è l'uomo piu popolare di Sicilia. Il suo coraggio, la sua figura, hanno un richiamo leggendario, la sua parola tocca i cuori, poiché egli parla con la lingua del popolo, con conoscenza ed amore. Così, alla sua voce, i contadini nascosti e atterriti sentirono come un impulso che li spinse ad entrare nella piazza proibita, e Li Causi cominciò a parlare, a quella piccola folla imprevedibile, del feudo Miccichè, della terra, della mafia. Dalla chiesa madre lo scampanio del prete, fratello di don Calò, cercava di coprire quella voce. Ma i contadini lo ascoltavano e lo capivano. "Giusto è, -dicevano, -binidittu lu latti chi ci detti sa matri. Lu vangelu dici ". Così essi rompevano il senso di una servitu antica, disubbidivano, più che a un ordine, all'ordine, alla legge del potere, distruggevano l'autorità, disprezzavano e offendevano il prestigio. Fu allora che don Calò, in mezzo alla piazza, gridò: "Non è vero! " Al suo grido, come a un segnale, i mafiosi cominciarono a sparare.
Quattordici furono i feriti che caddero, mentre Li Causi gridava: "Fermi, sciagurati, concedo il contradditorio!" Anche Li Causi fu ferito a un ginocchio. Michele Pantaleone se lo caricò sulle spalle, mentre le pallottole (quindici fori furono trovati sul muro dietro le loro spalle) levavano polvere di calcinacci dall'intonaco; e lo portò per quei pochi passi, fin dietro il muro della casa del Banco di Sicilia. Pantaleone allora, dall'angolo, alzò la sua pistola e sparò in aria cinque colpi. Fu questo il maggior episodio di quel primo tempo della lotta contadina. Ne segui il processo di Cosenza del' 49, l'appello di Catanzaro, la sentenza della Cassazione nel' 54; ne seguirono molti fatti e molte azioni, e morti, e mutamenti profondi. Ora sono passati molti anni, e don Calò, che "era un galantuomo ", è morto nel suo letto, come un galantuomo. Ma la piazza di Villalba conserva presente nei suoi pochi metri ogni momento nel tempo".

(dalla prefazione di Carlo Levi al libro di Michele Pantaleone Mafia e politica 1943-1962 Torino, Einaudi, 1962)
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MareMagnum | Mar 24, 2006 |

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