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Simha Vaisman

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L'inferno sulla Terra (2004) 1 exemplaar

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L’inferno sulla terra. La testimonianza di una dottoressa deportata ad Auschwitz di Sima Vaisman è l’ultimo libro edito da Giuntina sulla memoria della Shoah. L’autrice, originaria della Bessarabia (Moldavia), si trasferì negli anni ’30 in Francia dove, rimasta vedova, continuò a esercitare la professione di dentista. Nel 1942 fu arrestata nei pressi di Lione e deportata ad Auschwitz. Scrisse di quell’orrore subito dopo la liberazione, ma, come spesso avvenne in questi casi, il manoscritto fu scoperto da una cugina soltanto nel 1983 e affidato alla pubblica lettura soltanto nel 1999, due anni dopo la morte dell’autrice. Righe possenti, penetranti tanto sono scarne, e ossessive nel riproporre immagini e odori altrettanto ossessivi. Colpisce, infatti, come la descrizione, senza pathos ma rigorosa quasi estraniata, si appunti inevitabilmente sulla desolazione dei luoghi e dei corpi, e sul loro fetore. Fin da subito. Fin da quando, cioè, ha inizio il lungo viaggio su pagliericci sporchi, escrementi che fuoriescono dal bugliolo. Poi il fango del campo, la nudità dei corpi ancora più nudi dopo la rasatura e quella delle baracche dal pavimento di mattoni rossi su cui si ergono su due lati letti a castello o meglio tante «gabbie per conigli». E ancora escrementi, che si perdono per strada o dentro «stracci luridi e puzzolenti» che chiamano coperte. Alcune non sopportano e si gettano sul filo spinato elettrificato che circonda il campo. Scoppia una epidemia di tifo, molti medici muoiono e Sima viene chiamata al Revier. Qui tutto è nero e sporco, di sangue, di pus. Odore di escrementi, odore di corpi in putrefazione, divorati da scabbia, foruncoli, pidocchi che si annidano persino sotto le fasciature. I casi di follia si moltiplicano. E le morti pure. E chi non ce l’ha fa da sola, diventa buona per la selezione. Sima fa quello che può, ma le medicine non bastano e comunque molto spesso non servono. Il 16 maggio ’44, viene mandata al campo di Brezinski. Qui vede arrivare vagoni stipati di uomini, donne, vecchi e bambini. Sono i primi degli 800.000 ebrei ungheresi che verranno a morire da lì a settembre nelle camere a gas. Ma loro non lo sanno. Meglio se non lo sanno. Entrano nelle docce ed escono cadaveri per i forni crematori. E il commando di Sima smista le loro cose, mangia il loro cibo. Perché la fame è fame. Poi tocca agli zingari: 500 ragazzi tra i dieci e i quattordici anni.I loro giocattoli faranno brillare gli occhi dei figli delle SS. Intanto i russi avanzano e i campi vengono evacuati. Lunghe colonne si muovono lente in mezzo alla neve. Si raggiunge Ravensbrueck, poi Neustadt. Ovunque fame, punizioni, decessi, appelli. Fino al 3 maggio ’45, quando i nazisti si danno alla fuga e i prigionieri si gettano selvaggiamente sul magazzino viveri. Tutto questo Sima descrive senza mai parlare di lei. Mai una volta compare «io», sempre si ripete il «noi». A segnare non solo una comunanza di destino, ma una solidarietà che sola permise la sopravvivenza seppur di poche. (fonte: Giuntina)… (meer)
 
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MemorialeSardoShoah | May 10, 2020 |

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