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Writing to the World

door Rachael Scarborough King

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Scrivere è una qualità/abilità tutta umana, tanto antica quanto personale alla quale non si può rinunziare, ieri come oggi. Anzi, oggi più che mai, in quanto con l’aiuto della moderna tecnologia tutti possono/vogliono/devono “scrivere al mondo”. Di questo si occupa un libro molto interessante del quale non posso fare a meno di scrivere per ovvie, personali ragioni.

In “Writing to the World”, Rachael Scarborough King, una studiosa all’Università della California, esamina il passaggio dalla comunicazione in forma di manoscritto a quello dei giornali e periodici nel diciottesimo secolo inglese. La scrittrice introduce il concetto di “genere-ponte”, che consente tale cambiamento, in quanto lo stesso trasferisce le convenzioni testuali esistenti ai modi emergenti di composizione e circolazione periodica.

Il tutto per rivelare come quattro generi cruciali emersi in questo periodo, il giornale, il periodico, il romanzo e la biografia, fossero uniti dalla dipendenza della corrispondenza (le lettere), per abituare i lettori a queste nuove forme di supporti a stampa. La King spiega che quando i giornali, le riviste ed i periodici cominciarono ad essere pubblicati, il modello comunicativo scelto per parlare di libri, eventi e personaggi, o per diffondere notizie e altre informazioni, fu quello della scrittura epistolare. Tutto era detto in forma di lettera. Da una lettera nacque, allora, la prima recensione di libri.

Questo sistema permetteva anche a chi non aveva molta dimestichezza con la carta stampata di abituarsi a leggere e comunicare. La gente comune veniva così sollecitata a collegarsi in una sorta di rete e far parte di quel mondo nuovo che nasceva. La scrittura e la lettura sulla carta stampata era una completa novità.

L’autrice del libro prende in esame le tecniche della teoria dei generi con la ricerca archivistica e l’interpretazione letteraria, analizzando opere canoniche come le riviste di Addison e Steele, “The Tatler” e “The Spectator”, le “Vite dei Poeti” di Samuel Johnson o il suo “Rumbler”, romanzi come “Northanger Abbey” di Jane Austen e tanti altri periodici anonimi pieni di lettere di casalinghe della classe media.

Non era giornalismo di livello, in gran parte erano solo lettere di lettori che si scambiavano notizie. Un nuovo modo per diffondere mezze verità, propaganda e inevitabili menzogne, anticipando le moderne “fake news”. Una maniera per auto-celebrarsi e fare filosofia spicciola, un sistema come un altro per connettere le comunità, ma anche per frammentarle. Chiunque poteva, infatti, diventare un autore, pontificare su un argomento, fare un discorso pubblico, dire la propria idea.

Era arrivato il momento in cui l’invenzione della stampa avrebbe trasformato ogni cosa: la politica, la cultura, la letteratura, il modo di vivere. Una rivoluzione che non fu accolta sempre come democratica, nè tanto meno come l’inizio del pensiero moderno. Nel 1620, Francesco Bacone scrisse, in uno dei suoi famosi saggi, che la stampa, la polvere da sparo e la bussola nautica erano le tre invenzioni moderne che avevano cambiato l’aspetto e lo stato di tutto il mondo. Per molti altri contemporanei, invece, era esattamente l’opposto: un problema.

Qualche decennio prima, lo studioso William Webbe si era lamentato degli infiniti fardelli di opuscoli stampati. Il suo patron, il conte Countrey ne era infastidito. Intorno allo stesso periodo, un antesignano con un “nickname”, lo pseudonimo di Martin Mar-Sisto, si lamentava scrivendo:
“Viviamo in un’epoca a stampa il che non è una buona cosa, perché ogni sciocco si crede un autore, ogni ubriaco-sognatore è un “book”.

La stampa era quindi un rischio ed un pericolo. Un Umberto Eco in anticipo! A quel tempo, i giornali e i periodici esplodevano per numero e anche per influenza, a partire dalla falla fine del seicento, per tutto il secolo seguente ed oltre. “The Tatler”, “The Spectator”, “The Guardian”, “The Rumbler” erano specchi di se stessi e del loro tempo. Queste nuove pubblicazioni permettevano ai lettori di abbandonare la propria identità personale: ricca o povera, maschio o femmina, belli o brutti, stupidi o intelligenti.

Con la stampa si poteva entrare in conversazione anche tra anonimi ed impegnarsi in qualsiasi ragionamento. Joseph Addison stesso non era tanto sicuro degli effetti positivi della stampa. Nel 1714, scrisse sullo “The Spectator”: “È una cosa malinconica considerare che l’arte della stampa, che può essere la più grande benedizione per l’umanità, potrebbe rivelarsi dannosa, dovrebbe essere usata per disperdere pregiudizi ed ignoranza, trasmettere alla gente Verità e Conoscenza. “

Il “Tatler” citava un personaggio del tempo, definito “tappezziere politico”. Era così ossessionato dalla lettura delle notizie che trascurava il suo negozio, causando bancarotta e follia. Altri commentatori dell’epoca condividevano questi dubbi. Alcuni ingenuamente ritenevano, (ancora oggi molti sostengono la stessa idea), che cioè la stampa dovrebbe rispecchiare la sfera pubblica della società civile in difesa della opinione pubblica. Un sogno al quale già allora molti non credevano possibile. Mentre è vero che, nel tempo, la stampa è diventata uno strumento per gli affari pubblici, questo processo non si è ancora concluso in questa maniera.

Il primo numero di “The Spectator” si chiudeva con un invito da parte dello stampatore ai lettori a scrivere “per coloro che hanno la mente di corrispondere a me”, presso “Mr Buckley”. E il pubblico rispose. Il periodico, come il suo predecessore “The Tatler”, riproduceva centinaia di lettere dei lettori, usandole per rappresentare punti di vista alternativi, fornire sollievo, far ridere, intrattenere o semplicemente riempire lo spazio. Collezioni di lettere scritte a mano che i lettori hanno inviato a Steele e Addison rimangono alla British Library. La pubblicazione di lettere soddisfaceva le affermazioni della rivista di rappresentare una varietà di opinioni.

Le notizie stampate iniziarono anche come raccolte di lettere per l’editore. I giornali non impiegarono abitualmente giornalisti a tempo pieno fino al XIX secolo. Il significato antico di “giornalista”, (qualcuno che tiene un diario), è scomparso e la parola ha iniziato a riferirsi esclusivamente a chi scrive di notizie. Allo stesso modo, le interviste e le relazioni di persona non sono diventate comuni fino al XIX secolo. I primi documenti, nel 17 ° secolo, erano semplicemente tagliati e incollati dalle lettere che gli stampatori avevano ricevuto dai corrispondenti in Inghilterra e in Europa continentale. Alcuni tipografi ottenevano lettere corrompendo funzionari che avevano accesso alla corrispondenza diplomatica.

I primi “corrispondenti stranieri” furono diplomatici che fornivano contemporaneamente servizi di intelligence e giornali. Nel 1733, un editore di una rivista scrisse che il significato della parola “notizie” era la raccolta di informazioni dalle lettere che erano arrivate attraverso il “Post Foreign of Domestick”. Le prime forme di discussione pubblica sulla politica e la letteratura stampata erano vere e proprie conversazioni epistolari. Tutto ciò dimostra come sia significativa ed importante questa evoluzione nella comunicazione sia singola che collettiva.

Allora era il messaggio stampato ad avere la sua giusta e riconosciuta centralità. Il “mezzo” era già “il messaggio”, molto tempo prima che lo riconoscesse Marshall McLuhan. Le cose non si sarebbero fermate lì. L’evoluzione era ancora tutta da venire. L’abbiamo sotto gli occhi di tutti. E non è detto che sia finita qui …

https://medium.com/la-mia-biblioteca/scrivere-al-mondo-7ae18841ff0d ( )
  AntonioGallo | Sep 24, 2020 |
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