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Lettera a un vecchio (da parte di un vecchio)

door Vittorino Andreoli

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Onlangs toegevoegd doorIGiordani, AntonioGallo
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Mi accingo a leggere questo libro di Vittorino Andreoli e ho chiesto alla Intelligenza Artificiale di scrivere una lettera ad un amico dinosauro come me. Eccola. Dopo di aver letto il libro, ne scriverò un'altra come recensione, e di mio pugno, ad un mio amico vero con il quale condivido questa comune condizione di vecchio ormai da oltre settanta anni.

Caro amico,
Mentre mi siedo per scrivere questa lettera, non posso fare a meno di pensare a tutti gli anni trascorsi dall'ultima volta che ci siamo parlati. È passato tanto tempo, vero? Ma spero che questa lettera ti trovi bene e che la vita sia stata gentile con te.

Man mano che invecchiamo, è facile sentire che il mondo ci sta passando accanto. La tecnologia cambia, le persone vanno e vengono e può essere difficile stare al passo. Ma ho imparato che c'è qualcosa di speciale nell'invecchiare. Abbiamo una vita di ricordi su cui guardare indietro e la saggezza che deriva dall'esperienza.

Penso spesso alle cose che facevamo quando eravamo più giovani. Le avventure che abbiamo avuto, le persone che abbiamo incontrato, le lezioni che abbiamo imparato. È divertente come quei ricordi possano sembrare così vividi, anche dopo tutti questi anni.

Ma anche se ripenso al passato, so che c'è ancora tanto da aspettarsi. La vita è piena di sorprese e non sai mai cosa c'è dietro l'angolo. Quindi continuiamo ad andare avanti, amico mio, e vediamo dove ci porta questo viaggio. Fino a quando ci incontriamo di nuovo.

Ti saluto

-------
23 + 3 = 26. Eravamo in 26. Ventitre studenti, più il prof di lettere, il preside e un “bidello”, (pardon! un collaboratore scolastico). Era l’anno del Signore 1952 per la classe III B alla Scuola Media “Amendola” di Sarno, nella Valle dei Sarrasti.

L’ultimo a destra in basso, accovacciato, ero io. Sono ancora qui, vecchio. Sono passati settantuno anni netti. Abbastanza per entrare nella categoria umana che dà l’argomento a questo scritto che non è soltanto un post, ma anche altre cose.

Al mio fianco c’è Pasquale al quale ho deciso di scrivere non un libro come ha scritto il prof. Vittorino Andreoli, ma soltanto una breve lettera. A quel tempo non avrei mai immaginato che sarebbe diventato il suocero di mio figlio.

Ha qualche anno in più di me. Mi sono fatto aiutare dalla Intelligenza Artificiale per scriverla, ho apportato soltanto qualche adattamento. Se leggete su GoodReads il mio avviso di lettura potrete vedere la differenza nel testo.

Caro Pasquale,
Mentre mi siedo per scrivere questa lettera, non posso fare a meno di pensare a tutti gli anni trascorsi dall’ultima volta che ci siamo parlati. Soltanto qualche settimana fa. È passato tanto tempo da quella foto in III B, vero? Ma spero che questa lettera ti trovi bene e che la vita continui ad essere gentile con te.

Man mano che invecchiamo, è facile sentire che il mondo ci sta passando accanto. La tecnologia cambia, le persone vanno e vengono e può essere difficile stare al passo. Ma ho imparato che c’è qualcosa di speciale nell’invecchiare. Abbiamo una vita di ricordi su cui guardare indietro e la saggezza che deriva dall’esperienza.

Penso spesso alle cose che facevamo quando eravamo più giovani. Le avventure che abbiamo avuto, le persone che abbiamo incontrato, le lezioni che abbiamo imparato. È divertente come quei ricordi possano sembrare così vividi, anche dopo tutti questi anni.

Ma anche se ripenso al passato, so che c’è ancora tanto da aspettarsi. La vita è piena di sorprese e non sai mai cosa c’è dietro l’angolo. Quindi continuiamo ad andare avanti, amico mio, e vediamo dove ci porta questo viaggio.

Ho deciso di farti un dono. Ti faccio arrivare un libro scritto da un “vecchio” come te e come me. Tu hai qualche anno più di me, per questa ragione ti ho nominato presidente del “Club dei Dinosauri”.

Ti saluto

Una recensione, un ricordo, forse un “amarcord”, una rievocazione nostalgica del passato, un esercizio di scrittura creativa, la recensione di un libro, un’avventura umana, tante altre cose tra le quali anche una lettera.

Del resto, il libro al quale mi riferisco è nato come una lettera che un grande scrittore e scienziato della mente ha dedicato alla sua condizione: quella di essere diventato un “vecchio”. Lui, Vittorino Andreoli, di libri ne ha scritti tanti, lo si può facilmente vedere dalla sua bibliografia.

Al centro dei suoi interessi, c’è sempre stato un organo intorno a cui ruota l’esistenza umana: il cervello. Un interesse comune, anche il mio. Ma io non sono affatto uno scienziato. Condivido con il prof. Vittorino Andreoli soltanto gli anni, oltre che il “cervello”. Il mio, non il suo, ahimè!

Lui, di anni ne ha uno in meno di me, la lettera che ha scritto in forma di libro è quindi indirizzata anche a me. L’ho letta con grande interesse e mi sono sentito coinvolto.

Non è la prima volta che scrivo dei suoi libri, come non è la prima volta che mi occupo di questi argomenti: la vecchiaia, il cervello, il digitale e tutto il resto.

Caro Vittorino, caro professore, mi permetti di chiamarti per nome, se mai leggerai questo mio scritto. Sono “vecchio” anche io, con un anno in più di te. Da quando sono diventato un “sociale moderno”, mi sono considerato un “dinosauro” diventato digitale in seguito alla trasformazione. Tu la chiameresti metamorfosi.

Sono figlio di un tipografo tradizionale, ho imparato a leggere, scrivere e pensare mettendo insieme i caratteri mobili sul compositore nella piccola tipografia di famiglia. La “forma” del sapere nasceva sulla balestra sulla quale mettevo in fila i caratteri mobili di piombo, creavo le parole e le stampavo sulla carta.

Un semplice procedimento tecnico pratico che si collegava a quella scatola del cranio che contiene il cervello. Solo qualche anno dopo, con il passare del tempo, avrei scoperto e studiato i misteriosi meccanismi della mente. Non era una università o un centro di ricerca.

Era soltanto un ospedale mentale dove ero finito da studente infermiere per mantenermi a studiare la lingua. Durante il corso di infermeria al primo anno ebbi come Tutor un insegnante medico di nome Shapiro. Non ho mai dimenticato le sue lezioni.

Ricordo che nell’ospedale mentale nel quale trascorsi oltre due anni di lavoro ci preparavano ad affrontare nel modo migliore le varie e difficili situazioni nelle quali potevamo trovarci nel lavoro quotidiano con quei pazienti davvero speciali.

Quella patologia la si chiamava al tempo “Mental deficiency”, vera materia del contendere. Pazienti di tutte le età che, oltre ad avere gravi problemi mentali, soffrivano anche di serie complicazioni fisiche.

Era importante per chi doveva trascorrere con loro intere giornate di assistenza e terapia sapere escogitare modi e sistemi per risolvere problemi di svariata natura. Bambini, ragazzi, adulti, anziani e vecchi, tutto ruotava intorno a quella scatola magica e misteriosa chiamata cervello.

I reparti, chiamati “ward”, più difficili ed impegnativi erano il “Ward Children’s 2” e “Ward Male 6”. Dalla prima infanzia alla più terribile senescenza, una umanità alla quale non sapevo dare una risposta.

Oggi, leggendo il tuo libro, da “vecchio”, ho avuto la possibilità di comprendere, ma non ho trovato la risposta all’ultimo interrogativo: perchè?

Per una lettura ottimale della recensione di questo libro rimando chi legge al mio blog su MEDIUM23 + 3 = 26. Eravamo in 26. Ventitre studenti, più il prof di lettere, il preside e un “bidello”, (pardon! un collaboratore scolastico). Era l’anno del Signore 1952 per la classe III B alla Scuola Media “Amendola” di Sarno, nella Valle dei Sarrasti.

L’ultimo a destra in basso, accovacciato, ero io. Sono ancora qui, vecchio. Sono passati settantuno anni netti. Abbastanza per entrare nella categoria umana che dà l’argomento a questo scritto che non è soltanto un post, ma anche altre cose.

Al mio fianco c’è Pasquale al quale ho deciso di scrivere non un libro come ha scritto il prof. Vittorino Andreoli, ma soltanto una breve lettera. A quel tempo non avrei mai immaginato che sarebbe diventato il suocero di mio figlio.

Ha qualche anno in più di me. Mi sono fatto aiutare dalla Intelligenza Artificiale per scriverla, ho apportato soltanto qualche adattamento. Se leggete su GoodReads il mio avviso di lettura potrete vedere la differenza nel testo.

Caro Pasquale,
Mentre mi siedo per scrivere questa lettera, non posso fare a meno di pensare a tutti gli anni trascorsi dall’ultima volta che ci siamo parlati. Soltanto qualche settimana fa. È passato tanto tempo da quella foto in III B, vero? Ma spero che questa lettera ti trovi bene e che la vita continui ad essere gentile con te.

Man mano che invecchiamo, è facile sentire che il mondo ci sta passando accanto. La tecnologia cambia, le persone vanno e vengono e può essere difficile stare al passo. Ma ho imparato che c’è qualcosa di speciale nell’invecchiare. Abbiamo una vita di ricordi su cui guardare indietro e la saggezza che deriva dall’esperienza.

Penso spesso alle cose che facevamo quando eravamo più giovani. Le avventure che abbiamo avuto, le persone che abbiamo incontrato, le lezioni che abbiamo imparato. È divertente come quei ricordi possano sembrare così vividi, anche dopo tutti questi anni.

Ma anche se ripenso al passato, so che c’è ancora tanto da aspettarsi. La vita è piena di sorprese e non sai mai cosa c’è dietro l’angolo. Quindi continuiamo ad andare avanti, amico mio, e vediamo dove ci porta questo viaggio.

Ho deciso di farti un dono. Ti faccio arrivare un libro scritto da un “vecchio” come te e come me. Tu hai qualche anno più di me, per questa ragione ti ho nominato presidente del “Club dei Dinosauri”.

Ti saluto

Una recensione, un ricordo, forse un “amarcord”, una rievocazione nostalgica del passato, un esercizio di scrittura creativa, la recensione di un libro, un’avventura umana, tante altre cose tra le quali anche una lettera.

Del resto, il libro al quale mi riferisco è nato come una lettera che un grande scrittore e scienziato della mente ha dedicato alla sua condizione: quella di essere diventato un “vecchio”. Lui, Vittorino Andreoli, di libri ne ha scritti tanti, lo si può facilmente vedere dalla sua bibliografia.

Al centro dei suoi interessi, c’è sempre stato un organo intorno a cui ruota l’esistenza umana: il cervello. Un interesse comune, anche il mio. Ma io non sono affatto uno scienziato. Condivido con il prof. Vittorino Andreoli soltanto gli anni, oltre che il “cervello”. Il mio, non il suo, ahimè!

Lui, di anni ne ha uno in meno di me, la lettera che ha scritto in forma di libro è quindi indirizzata anche a me. L’ho letta con grande interesse e mi sono sentito coinvolto.

Non è la prima volta che scrivo dei suoi libri, come non è la prima volta che mi occupo di questi argomenti: la vecchiaia, il cervello, il digitale e tutto il resto.

Caro Vittorino, caro professore, mi permetti di chiamarti per nome, se mai leggerai questo mio scritto. Sono “vecchio” anche io, con un anno in più di te. Da quando sono diventato un “sociale moderno”, mi sono considerato un “dinosauro” diventato digitale in seguito alla trasformazione. Tu la chiameresti metamorfosi.

Sono figlio di un tipografo tradizionale, ho imparato a leggere, scrivere e pensare mettendo insieme i caratteri mobili sul compositore nella piccola tipografia di famiglia. La “forma” del sapere nasceva sulla balestra sulla quale mettevo in fila i caratteri mobili di piombo, creavo le parole e le stampavo sulla carta.

Un semplice procedimento tecnico pratico che si collegava a quella scatola del cranio che contiene il cervello. Solo qualche anno dopo, con il passare del tempo, avrei scoperto e studiato i misteriosi meccanismi della mente. Non era una università o un centro di ricerca.

Era soltanto un ospedale mentale dove ero finito da studente infermiere per mantenermi a studiare la lingua. Durante il corso di infermeria al primo anno ebbi come Tutor un insegnante medico di nome Shapiro. Non ho mai dimenticato le sue lezioni.

Ricordo che nell’ospedale mentale nel quale trascorsi oltre due anni di lavoro ci preparavano ad affrontare nel modo migliore le varie e difficili situazioni nelle quali potevamo trovarci nel lavoro quotidiano con quei pazienti davvero speciali.

Quella patologia la si chiamava al tempo “Mental deficiency”, vera materia del contendere. Pazienti di tutte le età che, oltre ad avere gravi problemi mentali, soffrivano anche di serie complicazioni fisiche.

Era importante per chi doveva trascorrere con loro intere giornate di assistenza e terapia sapere escogitare modi e sistemi per risolvere problemi di svariata natura. Bambini, ragazzi, adulti, anziani e vecchi, tutto ruotava intorno a quella scatola magica e misteriosa chiamata cervello.

I reparti, chiamati “ward”, più difficili ed impegnativi erano il “Ward Children’s 2” e “Ward Male 6”. Dalla prima infanzia alla più terribile senescenza, una umanità alla quale non sapevo dare una risposta.

Oggi, leggendo il tuo libro, da “vecchio”, ho avuto la possibilità di comprendere, ma non ho trovato la risposta all’ultimo interrogativo: perchè?

P.S. Per una lettura ottimale di questa recensione rimando il lettore al post sul mio blog su MEDIUMhttps://medium.com/@angallo/lettera-del-vecchio-figlio-del-tipografo-al-vecchio-psichiatra-scrittore-bc61733d379a ( )
  AntonioGallo | Apr 13, 2023 |
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