Afbeelding van de auteur.
151 Werken 359 Leden 11 Besprekingen Favoriet van 1 leden

Besprekingen

Italiaans (5)  Engels (4)  Spaans (1)  Alle talen (10)
Toon 10 van 10
Mi accingo a leggere questo libro di Vittorino Andreoli e ho chiesto alla Intelligenza Artificiale di scrivere una lettera ad un amico dinosauro come me. Eccola. Dopo di aver letto il libro, ne scriverò un'altra come recensione, e di mio pugno, ad un mio amico vero con il quale condivido questa comune condizione di vecchio ormai da oltre settanta anni.

Caro amico,
Mentre mi siedo per scrivere questa lettera, non posso fare a meno di pensare a tutti gli anni trascorsi dall'ultima volta che ci siamo parlati. È passato tanto tempo, vero? Ma spero che questa lettera ti trovi bene e che la vita sia stata gentile con te.

Man mano che invecchiamo, è facile sentire che il mondo ci sta passando accanto. La tecnologia cambia, le persone vanno e vengono e può essere difficile stare al passo. Ma ho imparato che c'è qualcosa di speciale nell'invecchiare. Abbiamo una vita di ricordi su cui guardare indietro e la saggezza che deriva dall'esperienza.

Penso spesso alle cose che facevamo quando eravamo più giovani. Le avventure che abbiamo avuto, le persone che abbiamo incontrato, le lezioni che abbiamo imparato. È divertente come quei ricordi possano sembrare così vividi, anche dopo tutti questi anni.

Ma anche se ripenso al passato, so che c'è ancora tanto da aspettarsi. La vita è piena di sorprese e non sai mai cosa c'è dietro l'angolo. Quindi continuiamo ad andare avanti, amico mio, e vediamo dove ci porta questo viaggio. Fino a quando ci incontriamo di nuovo.

Ti saluto

-------
23 + 3 = 26. Eravamo in 26. Ventitre studenti, più il prof di lettere, il preside e un “bidello”, (pardon! un collaboratore scolastico). Era l’anno del Signore 1952 per la classe III B alla Scuola Media “Amendola” di Sarno, nella Valle dei Sarrasti.

L’ultimo a destra in basso, accovacciato, ero io. Sono ancora qui, vecchio. Sono passati settantuno anni netti. Abbastanza per entrare nella categoria umana che dà l’argomento a questo scritto che non è soltanto un post, ma anche altre cose.

Al mio fianco c’è Pasquale al quale ho deciso di scrivere non un libro come ha scritto il prof. Vittorino Andreoli, ma soltanto una breve lettera. A quel tempo non avrei mai immaginato che sarebbe diventato il suocero di mio figlio.

Ha qualche anno in più di me. Mi sono fatto aiutare dalla Intelligenza Artificiale per scriverla, ho apportato soltanto qualche adattamento. Se leggete su GoodReads il mio avviso di lettura potrete vedere la differenza nel testo.

Caro Pasquale,
Mentre mi siedo per scrivere questa lettera, non posso fare a meno di pensare a tutti gli anni trascorsi dall’ultima volta che ci siamo parlati. Soltanto qualche settimana fa. È passato tanto tempo da quella foto in III B, vero? Ma spero che questa lettera ti trovi bene e che la vita continui ad essere gentile con te.

Man mano che invecchiamo, è facile sentire che il mondo ci sta passando accanto. La tecnologia cambia, le persone vanno e vengono e può essere difficile stare al passo. Ma ho imparato che c’è qualcosa di speciale nell’invecchiare. Abbiamo una vita di ricordi su cui guardare indietro e la saggezza che deriva dall’esperienza.

Penso spesso alle cose che facevamo quando eravamo più giovani. Le avventure che abbiamo avuto, le persone che abbiamo incontrato, le lezioni che abbiamo imparato. È divertente come quei ricordi possano sembrare così vividi, anche dopo tutti questi anni.

Ma anche se ripenso al passato, so che c’è ancora tanto da aspettarsi. La vita è piena di sorprese e non sai mai cosa c’è dietro l’angolo. Quindi continuiamo ad andare avanti, amico mio, e vediamo dove ci porta questo viaggio.

Ho deciso di farti un dono. Ti faccio arrivare un libro scritto da un “vecchio” come te e come me. Tu hai qualche anno più di me, per questa ragione ti ho nominato presidente del “Club dei Dinosauri”.

Ti saluto

Una recensione, un ricordo, forse un “amarcord”, una rievocazione nostalgica del passato, un esercizio di scrittura creativa, la recensione di un libro, un’avventura umana, tante altre cose tra le quali anche una lettera.

Del resto, il libro al quale mi riferisco è nato come una lettera che un grande scrittore e scienziato della mente ha dedicato alla sua condizione: quella di essere diventato un “vecchio”. Lui, Vittorino Andreoli, di libri ne ha scritti tanti, lo si può facilmente vedere dalla sua bibliografia.

Al centro dei suoi interessi, c’è sempre stato un organo intorno a cui ruota l’esistenza umana: il cervello. Un interesse comune, anche il mio. Ma io non sono affatto uno scienziato. Condivido con il prof. Vittorino Andreoli soltanto gli anni, oltre che il “cervello”. Il mio, non il suo, ahimè!

Lui, di anni ne ha uno in meno di me, la lettera che ha scritto in forma di libro è quindi indirizzata anche a me. L’ho letta con grande interesse e mi sono sentito coinvolto.

Non è la prima volta che scrivo dei suoi libri, come non è la prima volta che mi occupo di questi argomenti: la vecchiaia, il cervello, il digitale e tutto il resto.

Caro Vittorino, caro professore, mi permetti di chiamarti per nome, se mai leggerai questo mio scritto. Sono “vecchio” anche io, con un anno in più di te. Da quando sono diventato un “sociale moderno”, mi sono considerato un “dinosauro” diventato digitale in seguito alla trasformazione. Tu la chiameresti metamorfosi.

Sono figlio di un tipografo tradizionale, ho imparato a leggere, scrivere e pensare mettendo insieme i caratteri mobili sul compositore nella piccola tipografia di famiglia. La “forma” del sapere nasceva sulla balestra sulla quale mettevo in fila i caratteri mobili di piombo, creavo le parole e le stampavo sulla carta.

Un semplice procedimento tecnico pratico che si collegava a quella scatola del cranio che contiene il cervello. Solo qualche anno dopo, con il passare del tempo, avrei scoperto e studiato i misteriosi meccanismi della mente. Non era una università o un centro di ricerca.

Era soltanto un ospedale mentale dove ero finito da studente infermiere per mantenermi a studiare la lingua. Durante il corso di infermeria al primo anno ebbi come Tutor un insegnante medico di nome Shapiro. Non ho mai dimenticato le sue lezioni.

Ricordo che nell’ospedale mentale nel quale trascorsi oltre due anni di lavoro ci preparavano ad affrontare nel modo migliore le varie e difficili situazioni nelle quali potevamo trovarci nel lavoro quotidiano con quei pazienti davvero speciali.

Quella patologia la si chiamava al tempo “Mental deficiency”, vera materia del contendere. Pazienti di tutte le età che, oltre ad avere gravi problemi mentali, soffrivano anche di serie complicazioni fisiche.

Era importante per chi doveva trascorrere con loro intere giornate di assistenza e terapia sapere escogitare modi e sistemi per risolvere problemi di svariata natura. Bambini, ragazzi, adulti, anziani e vecchi, tutto ruotava intorno a quella scatola magica e misteriosa chiamata cervello.

I reparti, chiamati “ward”, più difficili ed impegnativi erano il “Ward Children’s 2” e “Ward Male 6”. Dalla prima infanzia alla più terribile senescenza, una umanità alla quale non sapevo dare una risposta.

Oggi, leggendo il tuo libro, da “vecchio”, ho avuto la possibilità di comprendere, ma non ho trovato la risposta all’ultimo interrogativo: perchè?

Per una lettura ottimale della recensione di questo libro rimando chi legge al mio blog su MEDIUM23 + 3 = 26. Eravamo in 26. Ventitre studenti, più il prof di lettere, il preside e un “bidello”, (pardon! un collaboratore scolastico). Era l’anno del Signore 1952 per la classe III B alla Scuola Media “Amendola” di Sarno, nella Valle dei Sarrasti.

L’ultimo a destra in basso, accovacciato, ero io. Sono ancora qui, vecchio. Sono passati settantuno anni netti. Abbastanza per entrare nella categoria umana che dà l’argomento a questo scritto che non è soltanto un post, ma anche altre cose.

Al mio fianco c’è Pasquale al quale ho deciso di scrivere non un libro come ha scritto il prof. Vittorino Andreoli, ma soltanto una breve lettera. A quel tempo non avrei mai immaginato che sarebbe diventato il suocero di mio figlio.

Ha qualche anno in più di me. Mi sono fatto aiutare dalla Intelligenza Artificiale per scriverla, ho apportato soltanto qualche adattamento. Se leggete su GoodReads il mio avviso di lettura potrete vedere la differenza nel testo.

Caro Pasquale,
Mentre mi siedo per scrivere questa lettera, non posso fare a meno di pensare a tutti gli anni trascorsi dall’ultima volta che ci siamo parlati. Soltanto qualche settimana fa. È passato tanto tempo da quella foto in III B, vero? Ma spero che questa lettera ti trovi bene e che la vita continui ad essere gentile con te.

Man mano che invecchiamo, è facile sentire che il mondo ci sta passando accanto. La tecnologia cambia, le persone vanno e vengono e può essere difficile stare al passo. Ma ho imparato che c’è qualcosa di speciale nell’invecchiare. Abbiamo una vita di ricordi su cui guardare indietro e la saggezza che deriva dall’esperienza.

Penso spesso alle cose che facevamo quando eravamo più giovani. Le avventure che abbiamo avuto, le persone che abbiamo incontrato, le lezioni che abbiamo imparato. È divertente come quei ricordi possano sembrare così vividi, anche dopo tutti questi anni.

Ma anche se ripenso al passato, so che c’è ancora tanto da aspettarsi. La vita è piena di sorprese e non sai mai cosa c’è dietro l’angolo. Quindi continuiamo ad andare avanti, amico mio, e vediamo dove ci porta questo viaggio.

Ho deciso di farti un dono. Ti faccio arrivare un libro scritto da un “vecchio” come te e come me. Tu hai qualche anno più di me, per questa ragione ti ho nominato presidente del “Club dei Dinosauri”.

Ti saluto

Una recensione, un ricordo, forse un “amarcord”, una rievocazione nostalgica del passato, un esercizio di scrittura creativa, la recensione di un libro, un’avventura umana, tante altre cose tra le quali anche una lettera.

Del resto, il libro al quale mi riferisco è nato come una lettera che un grande scrittore e scienziato della mente ha dedicato alla sua condizione: quella di essere diventato un “vecchio”. Lui, Vittorino Andreoli, di libri ne ha scritti tanti, lo si può facilmente vedere dalla sua bibliografia.

Al centro dei suoi interessi, c’è sempre stato un organo intorno a cui ruota l’esistenza umana: il cervello. Un interesse comune, anche il mio. Ma io non sono affatto uno scienziato. Condivido con il prof. Vittorino Andreoli soltanto gli anni, oltre che il “cervello”. Il mio, non il suo, ahimè!

Lui, di anni ne ha uno in meno di me, la lettera che ha scritto in forma di libro è quindi indirizzata anche a me. L’ho letta con grande interesse e mi sono sentito coinvolto.

Non è la prima volta che scrivo dei suoi libri, come non è la prima volta che mi occupo di questi argomenti: la vecchiaia, il cervello, il digitale e tutto il resto.

Caro Vittorino, caro professore, mi permetti di chiamarti per nome, se mai leggerai questo mio scritto. Sono “vecchio” anche io, con un anno in più di te. Da quando sono diventato un “sociale moderno”, mi sono considerato un “dinosauro” diventato digitale in seguito alla trasformazione. Tu la chiameresti metamorfosi.

Sono figlio di un tipografo tradizionale, ho imparato a leggere, scrivere e pensare mettendo insieme i caratteri mobili sul compositore nella piccola tipografia di famiglia. La “forma” del sapere nasceva sulla balestra sulla quale mettevo in fila i caratteri mobili di piombo, creavo le parole e le stampavo sulla carta.

Un semplice procedimento tecnico pratico che si collegava a quella scatola del cranio che contiene il cervello. Solo qualche anno dopo, con il passare del tempo, avrei scoperto e studiato i misteriosi meccanismi della mente. Non era una università o un centro di ricerca.

Era soltanto un ospedale mentale dove ero finito da studente infermiere per mantenermi a studiare la lingua. Durante il corso di infermeria al primo anno ebbi come Tutor un insegnante medico di nome Shapiro. Non ho mai dimenticato le sue lezioni.

Ricordo che nell’ospedale mentale nel quale trascorsi oltre due anni di lavoro ci preparavano ad affrontare nel modo migliore le varie e difficili situazioni nelle quali potevamo trovarci nel lavoro quotidiano con quei pazienti davvero speciali.

Quella patologia la si chiamava al tempo “Mental deficiency”, vera materia del contendere. Pazienti di tutte le età che, oltre ad avere gravi problemi mentali, soffrivano anche di serie complicazioni fisiche.

Era importante per chi doveva trascorrere con loro intere giornate di assistenza e terapia sapere escogitare modi e sistemi per risolvere problemi di svariata natura. Bambini, ragazzi, adulti, anziani e vecchi, tutto ruotava intorno a quella scatola magica e misteriosa chiamata cervello.

I reparti, chiamati “ward”, più difficili ed impegnativi erano il “Ward Children’s 2” e “Ward Male 6”. Dalla prima infanzia alla più terribile senescenza, una umanità alla quale non sapevo dare una risposta.

Oggi, leggendo il tuo libro, da “vecchio”, ho avuto la possibilità di comprendere, ma non ho trovato la risposta all’ultimo interrogativo: perchè?

P.S. Per una lettura ottimale di questa recensione rimando il lettore al post sul mio blog su MEDIUMhttps://medium.com/@angallo/lettera-del-vecchio-figlio-del-tipografo-al-vecchio-psichiatra-scrittore-bc61733d379a
 
Gemarkeerd
AntonioGallo | Apr 13, 2023 |
Corriere della sera
 
Gemarkeerd
IstitutoNightingale | Apr 21, 2022 |
Ho letto la versione Kindle di questo saggio sulla "certa età", quella mia, ma in effetti è quella di tutti gli esseri viventi. Fortunato chi ci arriva. Non a caso faccio parte anche io del "club dei dinosauri". L'ho detto diverse volte, ci ho anche scritto un libro sopra, me lo ricordo sempre ogni giorno quando entro in questa realtà digitale che ormai fa parte integrante della nostra vita. Conosco la scrittura di Vittorino Andreoli, come me naviga in questa stagione degli "approdi", come l'ha definita Carlo Baroni nella recensione del libro sul Corriere. Mi risparmio la fatica di scriverne, correrei il rischio di dire cose che ho già detto. Buona lettura e comprate il libro cartaceo del professore Andreoli.

----

Vittorino Andreoli spiega la vecchiaia: la stagione degli approdi. Prospettive e stereotipi di una fase della vita. Esce «Una certa età» (Solferino), il saggio sugli anziani dello psichiatra veronese, membro della New York Academy of Sciences.

Ci sono quelli stizziti che rifiutano il posto che vorresti cedergli sul metrò. Come a dirti: guarda che non mi sto sgretolando. E gli altri che si piangono addosso. Per la memoria che si fa più lenta di una riforma in Parlamento. Per le gambe disconnesse con la testa, le mani disegnate come un canyon e le vene uguali a fiumi che affiorano disordinati. Ma ci sono anche quelli che se la tirano. Gli insopportabili. I lamentosi. Che la sanno sempre più lunga di te. Come se la saggezza fosse una questione anagrafica. Infine, ecco i rassegnati. Con i figli (di solito tanti) che «non chiamano mai». Quelli dentro le canzoni di Renato Zero e Baglioni. Stanno negli ospizi, o meglio «nei giardini che nessuno sa» a pretendere una carezza. O piuttosto che il respiro decida di non aspettare quota 100.

I vecchi. Donne e uomini di Una certa età come il nuovo saggio di Vittorino Andreoli, edito da Solferino. E il sottotitolo recita: «Per una nuova idea della vecchiaia». Perché la definizione è soggetta a mutamenti con il tempo. E in effetti l’idea di vecchiaia non è mai vecchia. Resta il retaggio (il pregiudizio?) di considerare questa età della vita come una sentenza. L’anziano è il condannato a morte già uscito dalla cella che attende solo che il boia lo venga a prendere. E così si aggrappa a un intoppo burocratico. A un colpo di genio del suo avvocato per rimandare l’addio. Ma sa che è solo questione di tempo. Comprarsi l’agenda del nuovo anno sono solo soldi buttati via. È l’immagine di una vecchiaia come età senza senso. Il terzo tempo di una partita dove non c’è più spazio per giocare. Figuriamoci per vincere. La vecchiaia sinonimo di cose negative. Senectus ipsa est morbus (la vecchiaia è di per sé malattia).

Vittorino Andreoli viaggia dentro questa fase dell’esistenza proprio alla ricerca di quel senso che sfugge. Cogliendo contraddizioni e inganni. Ma anche opportunità e sogni. Perché la vecchiaia è anche un tempo per progettare. Consapevoli di quello che si è. Il passato, allora, diventa un kit sorprendente. Non è questione di esperienza, ma di sentimenti e passioni da (ri)vivere con il passo giusto. Il passato che non è più rimpianto. «Un adulto si proietta nel futuro, un vecchio vive» scrive Andreoli. La differenza tra l’attesa e l’adesso. Tra qualcosa che deve ancora essere (e chissà se sarà?) e qualcosa che c’è, che esiste: hic et nunc, qui e ora. «L’esistenza è respirare l’aria di quel momento, sentire la presenza dell’altro in quell’istante e avvertire di non essere soli».

C’è anche l’invito a non cadere nel luogo comune che la vecchiaia sia un ritorno all’infanzia. Le due età della vita che, alla fine, si congiungono, quasi si fondono. Ma è una regressione non confrontabile con la vivacità del bambino. Di quell’età forse ritornano la leggerezza e l’inconsapevolezza ma spesso sono sintomi di patologie cognitive più che di scelte esistenziali.

Invece non è uno stereotipo ma una «malattia» che non finisce nei manuali la tendenza, la voglia, la rabbia di provare a congelare il tempo. Adottare stili di vita con l’orologio portato indietro di venti-trent’anni. Gli anziani vestiti come a un concerto rock o impegnati in sport estremi (e a una certa età persino il calcetto è più letale del bungee jumping). È un tentativo, maldestro, di fare un lifting all’anima prima ancora che al corpo. Il non accettarsi per quello che si è diventati, una sindrome da Peter Pan fuori stagione. Il desiderio di non diventare adulti che qui diventa chiudere le porte a un’età che è considerata la stanza del niente. E il prolungamento della vita accentua, in alcuni, questa sindrome.

La vecchiaia è anche il momento di dare un altro significato alla vita di coppia. Uomo e donna si avvicinano e nello stesso tempo divergono. Si accentuano i caratteri di genere, quasi a rimarcare la forza dell’identità. Ma anche a far emergere la complementarità tra i due generi. Siamo in un’età che diventa un’apripista per cogliere gli aspetti più profondi dell’altro, quasi una gara a coglierne il meglio, senza il peso di desideri e passioni che finiscono per inquinare una relazione sana.

E allora diventare vecchi è aggiungere spazi di vita vera. Cambiare prospettiva, lasciar sedimentare gli orizzonti, guardare da lontano e oltre aiuta a rendere nitidi i contorni. I malanni dell’età sono un monito costante a riconoscere i limiti, non cadere nei deliri di onnipotenza per bruciare il tempo con interessi effimeri. La vecchiaia (ma non è bello chiamarla così) non è l’ultima spiaggia ma la possibilità di sfiorare un nuovo mare.

Carlo Baroni - Corriere della Sera - 16 gennaio 2020
 
Gemarkeerd
AntonioGallo | Sep 24, 2020 |
Ho conosciuto personalmente il prof.Andreoli, lo stimo come persona e come divulgatore, ho letto altri suoi testi, ma purtroppo qui mi sono arreso dopo un centinaio di pagine.
Tanti concetti, tante osservazioni, ma difficili da assimilare..forse sono io a non capire.
Speriamo per la prossima occasione!
 
Gemarkeerd
ginsengman | Oct 28, 2019 |
Ho letto questo libro in versione digitale. L'ho trovato degno delle cinque stelle. Ho deciso di rileggerlo anche in versione cartacea non appena possibile. La volatilità del digitale non permette di fissare nella mente quello che Vittorino Andreoli ha deciso di dire su un argomento così importante come il cervello umano, un bisogno di conoscenza tanto antico quanto moderno.

Di cosa sia veramente fatta quella scatola cranica che è chiamata cervello, con tutto il suo non gradevole contenuto, continua ad essere un mistero. A partire dal suo aspetto fisico. Un mio bisogno antico che col passare del tempo è continuamente aumentato sin da quando, giovane sprovveduto, mi ritrovai in una realtà di lavoro dove alle deficienze fisiche di migliaia di pazienti, bambini, giovani e vecchi, maschi e femmine, si affiancavano quelle mentali.

Pensare oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, che quel contenuto della scatola possa essere trasferito, anche se solo in minima quantità in un oggetto portatile in tasca, è un fatto semplicemente tanto spettacolare quanto misterioso.

Mi rendo conto che non sto parlando del libro che lo studioso Vittorino Andreoli ha scritto. Non saprei davvero da dove cominciare. Posso dire solamente che questo libro dovrebbe essere letto da tutti. Dovrebbe essere adottato in tutte le scuole, studiato e commentato, usato come manuale.

Mi riprometto di riparlarne, scegliendo tra gli innumerevoli argomenti sui quali ognuno che abbia un cervello è in grado di intervenire. Un cervello intendo sia tradizionale che digitale.

Lo so, molti cominciano a pensare che ora che hanno la possibilità di averne uno in tasca possono fare a meno di quello che Madre Natura ha fornito ad essi. Sbagliano di grosso. Andreoli lo dice chiaro tondo ...
 
Gemarkeerd
AntonioGallo | Oct 9, 2019 |
 
Gemarkeerd
Ste1955 | Apr 24, 2019 |
Questo ennesimo libro del prof. Vittorino Andreoli, uno dei maggiori psichiatri italiani, si caratterizza in maniera chiaramente pessimistica, nonostante il suo titolo. Può sembrare un paradosso, ma a mio modesto parere, il professore lo sa bene, la passione di scrivere è tutt’altro che gioiosa. La gioia di vivere, quella di scrivere, la fatica di crescere, l’elogio dell’errore, l’identità dell’uomo, i segreti della sua mente, lo psichiatra e il suo paziente, i nostri lati oscuri, i dialoghi nel cimitero, il matto inventato, il linguaggio della follia … Potrei continuare all’infinito, tanti sono i suoi libri su questi argomenti, con questi titoli. Tutti rinchiusi tra malinconia e fantasia, scienza e coscienza, amore e psiche, matti e preti. Quest’ultimo, sulla scrittura intesa come gioia, proprio non me l’aspettavo.

“Pensieri indignati, pensieri arrabbiati, pensieri spettinati, pensieri tristi cresciuti come cespugli nel giardino di una mente inquieta che scruta da anni l’animo umano, pensieri che urlano davanti a un mondo smarrito, dove chi sa un poco di tutto si sente un dio sulla terra e chi sa tutto di poco sta zitto e pensa. Ma anche pensieri teneri, fragili come illusioni, sogni a occhi aperti da contrapporre alle menzogne che inquinano la vita, alla ricerca di quella medicina dell’esistenza che si chiama speranza. È un’acrobazia di pensieri il nuovo libro di Vittorino Andreoli, palombaro della psiche e dell’anima con la sindrome della macchina da scrivere, che si esercita in un diario intimo, personale, non letterario, non proustiano, per diagnosticare la crisi degli ideali, scalzati da egoismo, indifferenza e cattiveria.”

Così ha scritto Giangiacomo Schiavi sul “Corriere” nella recensione del libro. Non potrei dire di meglio. Quello che mi ha colpito del libro è la diffidenza dello psichiatra Andreoli nei confronti di Internet e di tutto il mondo che ruota intorno e dentro il mondo della Rete. Credo che, anche se non l’ha scritto, consideri il tutto una “gabbia di matti”, lui si che se ne intende! Se le cose stanno così, non avrebbe dovuto scegliere un titolo del genere. Scrivere, in un’atmosfera del genere non è affatto una “gioia”, pur restando sempre un’abilità.

Lui sostiene che questa sia un'arte dimenticata. La “scrittura” vista come logica e legittima conseguenza del “pensare”. Eppure Andreoli ha scritto questo libro esattamente come si scrive oggi in Rete, sui "social". Adotta, non a caso, la tecnica dell’antica tradizione diaristica, quella di scrivere ogni giorno pensieri, riflessioni, appuntamenti, su una pagina di quaderno per un intero anno. Ha fatto proprio quello che ognuno di noi fa, oggi, sui social come Facebook, G , Twitter e tanti altri.

Brevi pensieri giornalieri in sequenza senza connessioni, in una libera concatenazione e flusso di pensiero che generano in chi legge ulteriori pensieri, reazioni e riflessioni. Insomma, vere e proprie provocazioni, se non suggerimenti a chi legge, a guardarsi dentro se stessi, intorno al mondo che ci circonda, senza ignorare i misteri nei quali siamo tutti intrappolati. Non sfugge niente e nessuno infatti al professore: dalla politica alla società, dalle scienze alle arti, dall’economia alla filosofia, da Gesù Cristo a Berlusconi, da Grillo a Roberto Saviano, da Heidegger a Mozart, dal tempo perduto a quello ritrovato, dalla paura della morte al piacere di vivere.

Il tutto in brevi, sintetiche, veloci riflessioni espresse alla maniera di Twitter, anche se con un maggior numero di battute. Insomma, una vera e propria bacheca immaginaria sulla quale, nel corso di un anno di diario, ognuno di noi può trascrivere ed appuntare i propri pensieri. Inclusi quelli straordinari in un paio di occasioni nelle quali il professore parla anche della consistenza, allungamento e trapianto di … peni. Avete letto bene. Nulla sfugge alla sua attenzione. I suoi sono referti medici inappellabili: Berlusconi è il “paradosso dei paradossi”, Matteo Renzi è un leader “tendenzialmente maniacale”, Angela Merkel ha “una pericolosa deviazione hitleriana”, Roberto Saviano un “nessuno che continua a parlare mentre dovrebbe tacere”.

La gioia di pensarlo e scriverlo in chiaro pessimismo, che è però soltanto provocazione a reagire, un richiamo alla responsabilità in chi legge. Il libro ha raggiunto pienamente lo scopo. Il lettore troverà appunti e spunti, pensieri che attivano i pensieri. Ognuno potrà fissarli sulla propria bacheca della mente reale o digitale. Andreoli scrive nella sua introduzione: “La creatività nasce dalla nostra mente in maniera improvvisa. Proprio come un prato di primavera che da un giorno all’altro è costellato di fiori di diverso colore, comparso su quel tappeto verde al di là di ogni logica e previsione.” Ecco, allora, da dove nascono le ragioni di quella parola nel titolo del suo libro, la “gioia” della creatività che alberga in ogni essere umano. Nei “sani”, come nei “matti”. Chi lo sa meglio di Vittorino Andreoli?

 
Gemarkeerd
AntonioGallo | Nov 2, 2017 |
Vittorio Andreoli, estudioso de la psique humana, narra magistralmente la inocencia de un adolescente herido y humillado que no encuentra consuelo a su necesidad de amor.
 
Gemarkeerd
Maak-Books | Mar 17, 2014 |
9 accounts of murders in which crime and madness are closely linked.

Storie di violenza estrema, di deliri di onnipotenza, di incapacità di accettare le frustrazioni. Rabbia che esplode improvvisamente persino in famiglia. Nove casi che hanno scosso l'Italia: da Pacciani a Bilancia, da Profeta a Michelotto, da Pasini a Molon, da Bauso a Pasimeni e infine Riccardo, nove storie di crimine e di follia nella ricostruzione del più famoso psichiatra italiano. Vittorino Andreoli torna a sondare le complesse dinamiche che inducono un uomo a dare la morte, anche a persone a lui care, trasformando uomini fino a quel momento per bene in omicidi. Lo fa offrendo al lettore altri casi giudiziari in cui, come perito psichiatra, ha aiutato i magistrati a meglio comprendere chi dovevano giudicare.
 
Gemarkeerd
MareMagnum | May 19, 2006 |
Toon 10 van 10